“Eravamo in 15 su un gommone e solo io sono vivo. Dio ha mandato i maltesi a salvarmi”. Mohammed Adam Oga è rimasto undici giorni alla deriva in mare, ha visto morire, giorno dopo giorno, i suoi compagni di viaggio, tra cui una donna incinta. Quando le Forze armate maltesi lo hanno salvato, lo hanno trovato svenuto sul corpo di un altro migrante, morto, nella barca con cui hanno tentato la traversata del Mediterraneo. Sull’imbarcazione, partita dal porto libico di Zawia erano in quindici: Mohammed, due ghanesi, due etiopi e tutti gli altri somali. Sulla terra ferma è arrivato solo lui.

“Non avevamo cibo, né acqua e carburante”, racconta il 38enne al Times of Malta. “Siamo stati in mare 11 giorni. Abbiamo iniziato a bere l’acqua di mare. Dopo cinque giorni, sono morte due persone. Poi, ogni giorno altre due”. Attivista politico del Fronte di liberazione Oromo, che lotta per l’indipendenza della regione dall’Etiopia, aveva lasciato il suo Paese quindici anni fa, vivendo in Eritrea e poi in Sudan, che è nel mezzo di una crisi politica che ha portato a proteste di massa e omicidi. Quindi l’arrivo in Libia, con la speranza di arrivare in Germania dove ha alcuni amici.

I quindici, partiti il primo agosto scorso, sono rimasti senza cibo e carburante e hanno chiesto aiuti alle navi ed agli elicotteri che si trovavano in zona, ma nessuno si è fermato. “Abbiamo gridato ‘aiuto, aiuto’, facevamo segno con la mano, un elicottero è arrivato e se ne è andato”, racconta Mohammed. Infine l’avvistamento da parte di un aereo di Frontex, l’agenzia europea per le frontiere, che ha richiesto il soccorso delle Forze armate maltesi, intervenute con un elicottero.

Dall’ospedale, dove è stato trasportato in uno stadio gravissimo di disidratazione e con profonde ustioni da sole, Mohammed racconta al quotidiano maltese gli ultimi momenti che si ricorda del viaggio: i corpi dei compagni, dice, iniziavano a decomporsi per il caldo. “Ismail – il ragazzo trovato morto all’arrivo delle Forze maltesi – ha detto che dovevamo mettere i corpi in mare. Ogni giorno prendevamo i corpi e li gettavamo in acqua. Ismail ha detto: ‘Tutti sono morti ora. Perché dovremmo vivere? ‘”. E, continua: “Ha gettato tutto nel mare, nei telefoni e nel GPS. Io ho detto: ‘Se vuoi morire, muori da solo. Non voglio morire'”. Alla giornalista che gli chiede se ha qualche rimpianto, Mohammed risponde: “No. Sono felice. Sono vivo.”

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