“Le poltrone non ci interessano. Pensiamo ai prossimi 2 anni di amministrazione”. Chiara Appendino e Virginia Raggi scivolano via, con le stesse parole, dal dibattito sul “mandato zero” che sta impazzando all’interno del Movimento 5 Stelle. La domanda, dopo il post di Luigi Di Maio sul Blog delle Stelle, è una sola: il debutto nelle istituzioni, da consigliere comunali, delle attuali prime cittadine di Torino e Roma, è da considerarsi come “zero” oppure no? Tradotto: Appendino, Raggi e gli altri 45 sindaci pentastellati potranno ambire alla ricandidatura? Le risposte elusive delle due sindache alle domande dei cronisti sono dettate da ragioni di (comprensibile) opportunità, perché oltre all’illustrazione agli iscritti da parte del capo politico, ad oggi c’è molto poco per valutare gli eventuali cavilli tecnici, da sviluppare in fase di aggiornamento dello statuto. E’ vero, ad esempio, che la prima cittadina torinese ha affermato che “non mi ricandiderò“, ma solo in relazione a un ulteriore mandato a Palazzo Civico.

PER CHI VALE IL MANDATO ZERO – Da un’attenta lettura del post di Di Maio, pare che i giochi siano definitivamente chiusi per l’economista di Moncalieri, che proprio il vicepremier qualche giorno fa aveva definito “il futuro del M5S“, nel tentativo (fin qui riuscito) di difenderla dagli attacchi della frangia consiliare no-tav. La frase chiave è la seguente: “Se ti ricandidi come sindaco e vieni rieletto sindaco, allora a quel punto quello è il tuo secondo mandato e lo fai da sindaco per cambiare la tua città in cinque anni anche grazie all’esperienza che hai maturato nel tuo primo mandato“. Detta così, fra 2 anni l’esperienza di Appendino e Raggi col M5S sarebbe finita. O forse no, almeno per l’inquilina del Campidoglio. Attenzione a quest’altra frase: “Se tu vieni eletto consigliere comunale o di municipio al primo mandato e lo porti avanti tutto e poi decidi di ricandidarti e non diventi né presidente di municipio né sindaco, allora il tuo secondo mandato, quello precedente, cioè il mandato zero, non vale“. Virginia Raggi ha visto la sua prima esperienza all’opposizione, in Assemblea Capitolina, concludersi dopo 2 anni e mezzo, quando il Pd decise di sfiduciare il sindaco Ignazio Marino. Dunque quel “lo porti avanti tutto” come va interpretato? “Nei casi simili a quelli di Virginia Raggi, il primo mandato è da considerarsi completato per intero“, hanno specificato per ora dall’entourage di Di Maio, chiudendo per ora la porta alla prima cittadina capitolina.

IL CASO POMEZIA – Non è un tema di lana caprina. Nel 2018, a Pomezia – vicino Roma – il sindaco Fabio Fucci (fino a quel momento tenuto in altissima considerazione nel M5S) arrivò alla rottura totale con i suoi perché pretendeva di ricandidarsi, sperando di vedersi abbonato il primo mandato da consigliere, durato meno di 2 anni, quando fu fra i fautori della caduta del precedente sindaco Dem, Enrico De Fusco. “Mi fa sorridere che in questo momento Di Maio abbia scoperto il ‘coraggio dei consiglieri‘, mentre quando ponevo io il tema fui trattato come un reietto e ancora oggi vengo insultato“, ha detto Fucci, interpellato da IlFattoQuotidiano.it. “La verità – dice ancora l’ex sindaco – è che i 5 Stelle temono la caduta imminente del Governo e sanno benissimo di non avere una classe dirigente pronta al grande salto”. E nella stessa situazione si trova il suo successore Adriano Zuccalà, divenuto sindaco nel 2018 dopo un mandato di 4 anni e mezzo da presidente dell’Assise. Zuccalà che, interpellato, si dice contrario a qualsiasi forma di deroga: “A Pomezia abbiamo dimostrato sul campo che la regola dei due mandati non influisce né sul lavoro fatto né su quello da fare”. Stessa cosa “per le alleanze con le liste civiche: il nostro obiettivo è quello di far capire alle persone che si votano gli ideali. Questo rende non essenziale il numero dei candidati”.

L’ESCAMOTAGE LISTE CIVICHE – Tutti a casa dunque? Non è detto. Perché oltre alla possibilità (ancora non negata) che qualcuno possa essere reimpiegato in ruoli di governo come ministro, sottosegretario o assessore – da capire come verrà aggiornato il regolamento, perché sempre di “gestione del potere” si tratta – si apre anche la carta “liste civiche“. Ecco che le due riforme annunciate dal capo politico arrivano a collimare. “Possiamo avviare delle sperimentazioni su quei territori dove per anni, cinque, dieci anni, magari abbiamo lavorato fianco a fianco con dei movimenti, con delle associazioni, con dei comitati, persone che conosciamo da sempre, con cui abbiamo condiviso valori“, scrive Di Maio sul Blog delle Stelle. E chi potrebbe vietare, in via del tutto ipotetica, a Virginia Raggi di ricandidarsi alla Regione Lazio all’interno di una civica alleata con il M5S? Oppure al Comune a capo di una lista, magari in appoggio di un candidato a lei vicino, come l’assessore Antonio De Santis? Eccola la presunta “continuità mascherata” di cui si sussurra in queste ore. Anche perché, per quanto oggi distante da Di Maio, l’inquilina del Campidoglio è ancora molto popolare, specie sui social network dove conta oltre 1 milione di followers.

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