“Resistere, resistere, resistere come su un’ultima, irrinunciabile linea del Piave”. Era il 12 gennaio 2002, il Procuratore generale di Milano Francesco Saverio Borrelli, morto oggi a Milano all’età di 89 anni, inaugurava così il suo ultimo anno giudiziario, prima di andare in pensione. Erano passati dieci anni dall’inizio dell’inchiesta Mani pulite, che da procuratore capo aveva sostenuto, e sei mesi dal giuramento del secondo governo di Silvio Berlusconi, che alle elezioni, con la Casa delle libertà, aveva sfiorato il 50% dei voti (49,56% alla Camera). Entrato in magistratura nel luglio 1955, ha legato la sua carriera a Milano dove, salvo un anno a Bergamo, aveva svolto ogni tipo di funzione: pretore, giudice fallimentare e poi civile, pubblico ministero, procuratore capo dal 1988 fino alla nomina di procuratore generale nel 1999.

Il regista del pool di Mani pulite – Il primo processo importante per Borrelli fu stato quello sull’omicidio di Luigi Calabresi, ma il suo nome è  legato alla stagione di Tangentopoli: è il regista del pool formato da Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo e Gerardo D’ambrosio. Al sanguigno Di Pietro affianca prima l’intellettuale Colombo e poi il “dottor sottile” Davigo, sotto il coordinamento di Gerardo D’Ambrosio. Una squadra arricchita da Ilda Boccassini, Tiziana Parenti, Paolo Ielo, Armando Spataro e Francesco Greco, attuale capo della procura milanese. Pur essendo inizialmente scettico sulla possibilità che l’inchiesta potesse andare molto oltre un semplice processo a Mario Chiesa per la tangente incassata come presidente del Pio Albergo Trivulzio, il procuratore formò una vera e proprio squadra d’attacco.

L’inchiesta, invece, si allargherà e, soprattutto, salirà di livello: tra gli imputati eccellenti Bettino Craxi, Arnaldo Forlani, Silvio Berlusconi, quest’ultimo raggiunto nel 1994 dal celebre invito a comparire mentre, presidente del consiglio in carica, presiedeva un vertice Onu a Napoli. Del pool Borrelli condividerà anche l’accusa immancabile di essere una “toga rossa“. Per la cronaca, aveva aderito a Magistratura democratica degli albori, nei lontani anni Sessanta, ma l’aveva rapidamente abbandonata, respinto da posizioni che giudicava estremiste. Ultima scelta politica conosciuta del magistrato che si definiva “liberale crociano”, il sostegno pubblico a Walter Veltroni per le primarie del Pd del 2007, quando ormai la toga era appesa al chiodo da anni. L’anno prima, Guido Rossi lo aveva chiamato al vertice dell’ufficio inchieste della Figc, ma l’avventura fu breve. A marzo del 2007 divenne presidente del Conservatorio di Milano.

L’appello contro le “leggi vergogna” – L’appello del 2002 del magistrato cadeva in un momento di scontro feroce fra magistratura e politica. L’ondata di consenso popolare verso le toghe milanesi si era esaurita da un pezzo e i partiti ne avevano approfittato per innescare un moto contrario: la normalizzazione a colpi di leggi che minavano i processi per corruzione (condivise dalle precedenti maggioranze di centrosinistra). Il patron della Fininvest asceso a Palazzo Chigi si preparava ad aprire la stagione delle “leggi vergogna”, o “ad personam”, e annunciava riforme della giustizia pensate per mettere il freno alle toghe. Intanto il suo governo aveva varato un provvedimento che riduceva la scorta ad alcuni magistrati impegnati in processi su mafia e corruzione. In quel clima, alla cerimonia a Palazzo di giustizia i magistrati, che si erano presentati in toga nera in segno di protesta, applaudirono fragorosamente all’esortazione di Borrelli. I rappresentanti di Forza Italia, fra i quali Fabrizio Cicchitto, abbandonarono la sala per protesta. “Non era certo un invito ai colleghi, ma alla cittadinanza, alla collettività”, dirà anni più tardi in un’intervista (in Mani pulite, di Gianni Barbacetto, Peter Gomez, Marco Travaglio, Chiarelettere 2012), “perché si scuota e reagisca a questo dilagante sgretolamento morale… che purtroppo coinvolge anche molti che dovrebbero dare il buon esempio dall’alto”.

Chi sa di avere scheletri nell’armadio, si tiri indietro – Tra le dichiarazione celebri dell’ex magistrato c’è quella rilasciata il 20 dicembre 1993, prima delle elezioni che avrebbero portato Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi. Suonava come un messaggio ai partiti: “Chi sa di avere scheletri nell’armadio, vergogne del passato, apra l’armadio e si tiri da parte. Tiratevi da parte prima che arriviamo noi”. A un mese dal voto viene arrestato Paolo Berlusconi; a pochi giorni dal responso delle urne vengono eseguiti alcuni ordini di custodia cautelare, tra i destinati c’è Marcello Dell’Utri. Nel novembre 1994 dalla procura di Milano parte l’avviso di garanzia a mezzo stampa per il premier Berlusconi che era una conferenza sulla criminalità.

La tesi con Calamandrei e l’amore per la lirica – Napoletano, appassionato di lirica e cavalli, Borrelli era diplomato da privatista in pianoforte e con la moglie era un habitué della Prima alla Scala. Non è un caso che la sua biografia si intitoli “Borrelli: direttore d’orchestra”. Tra le sue passioni anche la montagna. In una vecchia intervista diceva di sé: “Sono un mediocre pianista, un pessimo cavaliere, un pessimo alpinista, un dilettante di professione, ma mi piacciono tante cose che non faccio in tempo ad essere professionista in tutto”. Figlio e nipote di magistrati, Borrelli si laureò in giurisprudenza a Firenze con una tesi dal titolo “Sentimento e sentenza”, relatore il professore Piero Calamandrei. Il padre, Manlio,fu  il primo presidente della Corte d’appello di Milano, ma Borrelli non ha occupato mai quella poltrona. Sposato con Maria Laura e padre di due figli, Federica e Andrea: Ques’ultimo giudice civile a Milano.

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