È in uscita il nuovo libro di Gianluigi Paragone, “La vita a rate“, edito da Piemme.  Il libro parte da un ragionamento su quello che l’autore definisce: “il più grande inganno della modernità”: i soldi in prestito in cambio dei diritti. Nella frenesia dei tempi moderni nessuno più si domanda o si rende conto di quanti prestiti, piccoli o grandi, stiamo cumulando. Ma l’affare, si chiede Paragone, chi lo sta facendo? Perché? È tutto casuale, segno appunto dei tempi moderni, oppure è una tentazione in atto da decenni, attraverso una sapiente operazione di marketing, per sostituire i tuoi diritti con loro concessioni? Di seguito un estratto del libro in anteprima.

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“Chi ci sta a cambiare l’Europa rendendola più equa e più politica? La Germania e la sua corte di sicuro no. E veniamo così al solito nodo. Per spiegare il quale torniamo al premio Nobel, Joseph Stiglitz, il più popolare degli euro-critici. Quando fu invitato da Giovanni Floris (che lo mandò a quasi notte) per presentare il suo libro, non ebbe esitazioni a bocciare l’euro. “Professore”, domandò il giornalista, “andiamo subito al cuore del problema: l’euro funziona sì o no?”. “No”, rispose tranchant. E solo alla domanda “Quali sono le ragioni?” si dilungò nella spiegazione anticipando appunto le argomentazioni del libro: la costruzione della moneta è sbagliata perché ha portato stagnazione e allargamento delle ingiustizie sociali; l’euro funziona non sui tassi di cambio ma solo se i paesi che lo usano sono simili e non se si fanno concorrenza – dal fisco al welfare – tra loro; l’indebitamento non è un male (altro che l’amministrazione del condominio o il bilancio familiare!); la Germania ha sostituito la sua moneta forte (il marco) con una moneta più conveniente per le sue esportazioni.

A questo punto la domanda è: davvero nessuno seppe prevedere che l’architettura dell’euro e delle logiche economiche dei trattati istitutivi avrebbe potuto provocare grandi scompensi sociali? Davvero erano convinti di aver costruito su fondamenta solide? La risposta l’affido a Giuliano Amato, il quale in un intervento televisivo, rivelò la spericolatezza dell’euro-avventura.

“Abbiamo fatto una moneta senza Stato, abbiamo avuto la faustiana pretesa di riuscire a gestire una moneta senza metterla sotto l’ombrello di un potere caratterizzato da quei mezzi e dai quei modi che sono propri dello Stato e che avevano sempre fatto ritenere che fossero le ragioni della forza e della credibilità che poi una moneta ha. Eravamo pazzi? Qualche esperimento nella storia di monete senza Stato c’era stato, di monete comuni, di unioni monetarie; ma per la verità (questi esperienti nda) non erano stati molto fortunati”. Amato cioè ammette che la superbia faustiana di andare oltre a costo di vendersi al diavolo era un esercizio spericolato, senza rete di protezione. E infatti…

Ma andiamo avanti con le parole di Giuliano Amato per capire il “perché” di tanta superbia e vanità nonostante gli esperimenti passati non fossero andati a buon fine.“Perché noi quando ci siamo dotati di una moneta unica abbiamo pensato che potevamo riuscirci in termini di unione e non facendo lo Stato europeo. Avevamo già costruito un mercato economico comune fortemente integrato, più o meno avevamo un assetto istituzionale che non era quello di uno Stato ma certo era qualcosa di molto più robusto di quello che c’è usualmente a questo mondo: la comunità europea, l’unione europea, col suo parlamento (due e mezzo nda…), la sua commissione, i suoi consigli.

Abbiamo anche previsto di avere una banca centrale ma abbiamo deciso che trasferire a livello europeo quei poteri di sovranità economica che sono legati alla moneta era troppo, più di quello che gli Stati membri dell’Unione fosse disposto a fare. E allora ci siamo convinti, e abbiamo cercato di convincere il mondo, che sarebbe bastato di coordinare le nostre politiche nazionali per avere quella zona, quella convergenza economica, quegli equilibri economici fiscali interni alla Ue che servono a dare forza reale a quella moneta. Non tutti ci hanno creduto, molti economisti – specie americani – ci hanno detto: guardate che non ci riuscirete, non vi funzionerà, se vi succede qualche problema che magari investe uno solo dei paesi non avrete gli strumenti centrali che per esempio noi negli Usa abbiamo, dove può intervenire il governo centrale e riequilibrare con la finanza nazionale le difficoltà delle finanze locali. La vostra banca centrale se non è la banca centrale di uno Stato non può assolvere le stesse funzioni che può assolvere la banca centrale di uno Stato che, quando lo decide, diventa il pagatore senza limiti di ultima istanza”. Insomma tutti gli alert lanciati dai “critici” oggi rappresentano l’epicentro della crisi dell’Europa. Ma loro nulla, avanti come caterpillar.

“In realtà – prosegue Amato –  noi non abbiamo voluto credere a questi argomenti, abbiamo avuto fiducia nella nostra capacità di autocontrollarci e abbiamo addirittura stabilito dei vincoli nei nostri trattati che impedissero di aiutare chi fosse in difficoltà. E abbiamo previsto che l’Unione europea non assuma la responsabilità degli impegni degli Stati, che la Bce non possa comprare direttamente i titoli pubblici dei singoli Stati (dopo è avvenuto il Q.e. di Mario Draghi, che però non è la soluzione strutturale nda), che non ci possano essere facilitazioni creditizie o finanziare per i singoli Stati. Insomma moneta unica per l’eurozona ma ciascuno deve essere in grado di provvedere a se stesso.

Era davvero difficile che funzionasse e ne abbiamo visto tutti i problemi”.

Buuummmm!!!! Era davvero difficile che funzionasse… Beh, se fosse una prova di laboratorio politico potremmo dire “Scusate ci siamo sbagliati”, ma così non è: per anni – e la crisi greca lo dimostra – non hanno voluto raddrizzare il legno storto. E le macerie di questo fanatismo più finanziario che politico sono sotto gli occhi di tutti. A maggior ragione se si pensa che sono lustri che andiamo dietro a una regola feticcio: il 3% deficit/pil.

“Se mi chiede se la regola secondo cui il deficit di un Paese non debba superare il 3% del pil abbia basi scientifiche le rispondo subito di no”. L’aveva già detto ai media francesi alcuni anni prima, Guy Abeille lo ha ribadito anche in una intervista rilasciata a Vito Lops del Sole24 Ore. Chi è Guy Abeille? Il “papà” di quella regola. “Sì, sono stato io a inventarla, nella notte del 9 giugno 1981 su richiesta esplicita del presidente Francois Mitterand”.

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