Nemmeno il tempo di veder diffondersi nel web la clamorosa notizia dell’arresto di Michel Platini (in verità, un fermo cautelare negli uffici dell’Ufficio Anti-corruzione della polizia giudiziaria francese di Nanterre nel quadro delle indagini sulla controversa assegnazione dei Mondiali 2022 al Qatar) che subito, almeno da noi, si è scatenata la solita panna montata dell’infocaos, del complottismo, della manipolazione. La realtà è molto più prosaica.

Il 2 dicembre del 2010 i 24 membri del comitato esecutivo della Fifa (tra cui, appunto Platini) hanno preferito il Qatar all’Australia, al Giappone, agli Stati Uniti e alla Corea del Sud per l’organizzazione dei campionati mondiali previsti nel 2022, andando contro ogni logica sportiva, etica, finanziaria ed ambientale (gli stadi saranno climatizzati per domare le violente calure del deserto…). Qualcosa non quadrava. Furono il Times nella sua edizione domenicale (The Sunday Times) e la Bbc a denunciare la corruzione che secondo loro era endemica in seno alla federazione internazionale del football. Troppi soldi genera il calcio e, di conseguenza, troppe pressioni vengono esercitate su chi ha il potere di decidere come e dove organizzare quello che è considerato l’evento sportivo più coinvolgente, più ancora dei Giochi Olimpici. Miliardi di dollari. Cosa sono, dunque i pochi milioni delle bustarelle?

Che le accuse dei media britannici non fossero campate per aria lo si capì quando 16 dei 24 membri di quel comitato direttivo vennero radiati, espulsi e/o incriminati. Ad indagare ci si misero le procure elvetiche (in Svizzera ha sede la Fifa), americana (gli Stati Uniti vennero sconfitti nell’ultima decisiva votazione) e francese (il presidente francese di allora, Sarkozy, ebbe un ruolo importante nell’appoggiare gli sceicchi del Qatar, grazie al ruolo di Platini). L’inchiesta ha appurato che ci fu il 23 novembre del 2010 una (ormai celebre) riunione segreta all’Eliseo – ci pensò France football a svelarla tre anni dopo – in cui Sarkozy, assai benevolo nei confronti degli ambienti finanziari qatarioti, discusse con il principe ereditario Tamim ben Hamad al-Thani (attuale emiro, dal 2013) l’acquisto del Psg, ciò che avvenne pochi mesi dopo, ma anche l’ingresso nell’azionariato del gruppo Lagardère, la creazione di un canale sportivo concorrente di Canal+, in cambio di una promessa: che Platini negasse il voto agli Stati Uniti. Platini votò il Qatar e lo ammise. Nonostante le smentite di Sarkozy e dell’emiro, nel 2015 fu appurato (sempre grazie ad un’inchiesta giornalistica, questa volta di Le Monde: ecco la funzione della stampa libera e non asservita) che quella riunione ci fu e che oltre a Nicolas Sarkozy, all’emiro e a Platini, facevano parte della combriccola Sophie Dion, allora consigliera della presidenza francese per lo sport, e Claude Guéant, segretario generale dell’Eliseo. Un summit in piena regola.

Insomma, ho brevemente ripercorso i fatti, e su questi ci si deve basare per discutere. L’alibi di Platini e soci è risibile: “Abbiamo difeso gli interessi francesi”. Le indagini, più terra terra, puntano a capire quanto sono stati ricompensati questi “interessi”, insomma, cercano di ricostruire gli itinerari delle eventuali mazzette, magari spacciate come compensi per consulenze. Che il calcio sia inquinato dalla corruzione, è risaputo. Politica e finanza vanno a braccetto, lo sappiamo ben noi che abbiamo vissuto a più riprese Calciopoli e inchieste sulle scommesse che hanno colpito anche i mostri sacri del nostro campionato. Platini è sempre stato un uomo accorto – in campo e poi nella scalata ai vertici della Fifa. Non uno sprovveduto. Gestiva il potere da capitano della Juventus e dei “Bleus” che nel 1998 vinsero i Mondiali disputati in casa: peraltro gestiti in modo piuttosto scandaloso, perché i sorteggi vennero pilotati e nelle urne si trovò il trucco per evitare che Brasile e Francia si incontrassero prima della finale. Voleva diventare il numero uno della Fifa, ambizione che l’ha tradito. Agli americani ammette che “avrebbe potuto aver detto” di votare per loro. Ma poi scelse il Qatar.

Il personaggio è questo. Gran calciatore, lo fu. Poi, stendiamo un velo pietoso. Comunque, il web italiota si è immediatamente diviso, juventini contro anti-juventini, colpevolisti contro complottisti (Michel è vittima di chi lo temeva alla Fifa). Quando era presidente dell’Uefa, ricorda qualcuno degli “innocentisti”, si mise “di traverso opponendosi all’introduzione della tecnologia Var, sostenendo con ragione che sarebbe stata applicabile in pochi casi, non avrebbe eliminato gli errori e costava troppo in rapporto a quello che faceva”. E’ una delle tesi che ho pescato su Facebook. Fumo. Per eliminare Platini, “hanno messo su un’accusa che lo ha tolto di mezzo giusto in tempo per impedirgli di ricandidarsi e guarda caso, quindici giorni dopo l’insediamento del nuovo presidente, emisero magicamente l delibera che introduceva il Var”. Tesi da bar, più che da Var. Se ti mettono in custodia cautelare fino a quando non spieghi i riscontri delle indagini, vuol dire che ci sono prove piuttosto inquietanti.

Le autorità giudiziarie francesi fecero così con un altro campione, Richard Virenque, ciclista assai popolare. Correva per la Festina, colpita nel 1998 da un clamoroso scandalo: il massaggiatore della squadra, Willy Voet, venne beccato alla frontiera col Belgio in possesso di una cospicua quantità di prodotti dopanti. Due anni dopo, Virenque, durante il processo, per evitare di restare in cella chissà quanto tempo, confessò di essersi dopato e se la cavò con la sospensione di un anno. Io c’ero a quel processo. Nel 2001 ritornò al Tour e vinse la prestigiosa maglia a pois destinata al migliore scalatore. Le procure seguono – come sempre nei casi di corruzione e di illeciti – le piste dei quattrini: spesso, per pagare un voto o per pagare i costosi doping. E per quelle piste, non c’è Var che tenga. Anzi, il Var non c’entra nulla.

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