È il terzo giorno di scambi d’accuse tra l’equipaggio della nave della ong Sea Watch e il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, dopo che l’imbarcazione ha tratto in salvo, mercoledì, 53 migranti a bordo di un gommone al largo delle coste libiche. Uno scontro che il vicepremier leghista rinfuoca dai microfoni di Radio Cusano Campus: quelli della Sea Watch “stanno ciondolando mettendo a rischio vite – ha dichiarato – Vogliono, per motivi politici, creare uno scontro e arrivare in Italia. Si sono avvicinati a Lampedusa, ma non pensino di passarla liscia, non ci facciamo dettare le regole da una ong tedesca che usa una nave olandese evidentemente fuori legge“. Ma sulla questione interviene anche la Commissione europea ricordando che “la Libia non è un porto sicuro”.

Le parole del leader del Carroccio arrivano dopo che, giovedì, il Viminale aveva inviato una diffida ufficiale, come successo anche in occasione dell’ultimo salvataggio effettuato dall’organizzazione tedesca, a entrare nelle acque italiane. La differenza, questa volta, è che l’ordine dato dal ministero è esplicitamente previsto dal nuovo decreto Sicurezza-bis, approvato l’11 giugno dal Consiglio dei ministri.

Ma gli operatori umanitari hanno deciso di non obbedire alle direttive: dal Viminale era arrivato, giovedì, l’ordine di dirigersi verso Tripoli, visto che la Guardia Costiera libica aveva dato l’ok allo sbarco, ma l’equipaggio aveva respinto la richiesta spiegando che “Tripoli non è un porto sicuro, non ci andremo. È vergognoso che l’Italia promuova queste atrocità e che i governi Ue ne siano complici”. Così, la nave battente bandiera olandese si era diretta verso Lampedusa.

In mattinata, la Sea Watch 3, che inizialmente sembrava aver cambiato la propria rotta dirigendosi verso Malta, si è invece fermata al limite delle acque territoriali italiane, in attesa. Solo nel pomeriggio la ong ha annunciato che “avendo ricevuto come unica indicazione il porto di un Paese in guerra, la Sea Watch ha fatto rotta verso nord, verso il porto sicuro più vicino alla posizione del soccorso: Lampedusa. Restiamo in stand by a circa 16 miglia dall’isola“. “Niente Malta – ha detto Salvini – SeaWatch ha cambiato nuovamente rotta. Ciondola nel Mediterraneo e gioca sulla pelle degli immigrati, nonostante abbia chiesto e ottenuto un porto da Tripoli. Stiamo assistendo all’ennesima sceneggiata, dicono di essere i buoni ma stanno sequestrando donne e bambini in mezzo al mare. Per loro, porti chiusi”.

In tarda mattinata arriva anche la risposta di Sea Watch che, attraverso il profilo Twitter della ong chiede: “Sea Watch rimane senza un porto sicuro assegnato con a bordo 53 persone di cui cinque minori, due molto piccoli. Davvero un Ministro della Repubblica Italiana vuole costringerci a portare queste persone in un Paese in guerra? Davvero l’Ue permette una tale violazione dei diritti umani?”.

Ma Salvini rincara la dose e, al termine del consiglio federale nella sede della Lega a Milano, assicura che farà di tutto per impedire l’attracco: “Io non darò mai l’autorizzazione allo sbarco, mi domando perché qualche procura sequestri e dissequestri, sequestri e dissequestri. È la terza volta che vediamo lo stesso film”. A chi gli fa notare che la procura potrebbe farli attraccare e poi sequestrare la nave, Salvini replica: “E la sequestra un’altra volta e la dissequestra un’altra volta? No, vado io a piedi ad Agrigento a farmi spiegare perché. Una va bene, due va bene, la terza volta no”.

La risposta dell’Europa, anche se in maniera indiretta, arriva per bocca di un portavoce della Commissione che, interpellato durante il midday briefing a Palazzo Berlaymont, evita di commentare la vicenda, ricordando che “non commentiamo i commenti di un ministro. In generale la Commissione non ha le competenze per decidere se una nave può sbarcare persone o indicare un posto per lo sbarco”. Ma poi ricorda la posizione dell’istituzione: “Tutte le navi con bandiera europea sono obbligate a rispettare il diritto internazionale e il diritto sulla ricerca e salvataggio in mare che comporta la necessità di portare delle persone in un posto o posto sicuro. La Commissione ha sempre detto che queste condizioni non si ritrovano in Libia”.

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