Continua l’eco mediatica suscitata dai vari articoli pubblicati negli Usa, tra cui emergono, per rilevanza, quelli del Washington Post e del New York Times usciti quasi in contemporanea, in uno scenario nostrano caratterizzato da una robusta dose di confusione e fraintendimenti. La confusione è dovuta soprattutto alle nuove sigle adottate. All’acronimo Ufo, sempre più considerato scomodo in quanto dequalificato, si tende infatti a preferire sempre di più i maggiormente presentabili Uap (unidentified aerial/aerospace phenomena) e Uav (unidentified aerial/aerospace vehicle) e un po’ più raramente la coppia Aap (anomalous aerial/aerospace phenomena) e Aav (anomalous aerial/aerospace vehicle).

Intanto in questo polverone di interpretazioni e sigle sfugge, come spesso accade, la cosa più importante: la costituzione negli Stati Uniti di un gruppo di scienziati e ricercatori indipendenti denominato Scu (Scientific coalition for Uap studies), che si definisce “un’organizzazione di ricerca composta principalmente da scienziati, ex ufficiali militari e personale delle forze dell’ordine con esperienza tecnica e background nelle tecniche investigative”.

Tale gruppo ha recentemente tenuto il suo primo congresso pubblico e ha rilasciato una perizia forense di ben 276 pagine (A forensic analysis of navy carrier strike group eleven’s encounter with an anomalous aerial vehicle – 2004 Us nimitz incident report) basata, in particolar modo ma non solo, sulla minuziosa analisi di un filmato acquisito da un sistema Atflir imbarcato su di un caccia F/A-18F della Marina Usa e ufficialmente rilasciato dal Pentagono, quindi dati non contestabili, acquisiti dalle più avanzate strumentazioni di rilevamento oggi disponibili. Le conclusioni di tale minuziosa analisi sono che “le accelerazioni dimostrate da tali Aav vanno al di là delle capacità di qualsiasi aeromobile conosciuto”.

Verrebbe quindi da pensare che non sia poi del tutto una coincidenza il fatto che un tale gruppo nasca dopo che la stessa Nasa ha compiuto passi che sarebbero stati considerati alla stregua di fantascienza solo pochissimi anni fa. Prima di tutto vengono sollecitazioni da parte di ricercatori Nasa nei confronti del Seti (Search for extraterrestrial intelligence), come quella dello scienziato Silvano P. Colombano dell’Ames research center, in un documento presentato per la prima volta a marzo 2019 al Decoding alien intelligence workshop, organizzato appunto dal Seti. Nel suo documento, Colombano invita i ricercatori del Seti a una maggiore flessibilità, a mostrare “disponibilità a estendere le possibilità in merito alla natura dello spazio-tempo e dell’energia” e a “considerare il fenomeno Ufo degno di studio“, implicitamente criticando l’atteggiamento del Seti per non avere mai preso in seria considerazione la vastissima casistica Ufo (pardon, Uap), pubblicamente disponibile.

Poi, la stessa Nasa ha recentemente tenuto uno specifico workshop, intitolato Nasa and the search for technosignatures, dove le Technosignatures sono definite come “un qualsiasi segno di tecnologia dal quale è possibile inferire l’esistenza di vita intelligente ovunque nell’universo” e dove si discute senza mezzi termini di argomenti quali la possibile scoperta di artefatti extraterrestri nel sistema solare. Pubblicato su Arxiv.org il 28.12.2018, il report di questo workshop è disponibile online.

Ricordiamo infine con soddisfazione che lo scorso 27 ottobre 2018 si è tenuto il settimo Convegno internazionale “Città di Roma” del Cun, nel quale abbiamo avuto il privilegio, unici al di fuori degli Stati Uniti, di avere come relatore Luis Elizondo, ex direttore del programma Advanced aerospace threat identification program (Aatip). Nel corso del convegno romano, Elizondo fra le altre cose ha di fatto anticipato le dichiarazioni riportate in questi giorni sulla stampa americana, quando ha affermato, riferendosi ai filmati ufficialmente rilasciati dal Pentagono, “se comprendete ciò che vedete in questi video, è evidente che questa non è tecnologia nostra”.

In chiusura, una personale considerazione a tale proposito: se le tecnologie per costruite tali ordigni fossero effettivamente in possesso di una qualche potenza terrestre, non vi è dubbio che sarebbero già stati utilizzati e avrebbero già cambiato, e per sempre, gli scenari geopolitici come li conosciamo oggi. E probabilmente sulla Luna, su Marte e ben oltre ci saremmo già tranquillamente arrivati senza i problemi che le agenzie spaziali devono affrontare oggi. Intanto, in attesa di nuove “rivelazioni”, la ricerca e il cambio di paradigma procedono.

Ps. Curiosità. Il termine Ufo è stato tradotto in Unexplained Flying Object, cioè oggetto volante non spiegato, che curiosamente coincide con il termine Riv (Res Inexplicata Volantis), appunto “cosa volante non spiegata”, coniato in Vaticano per l’aggiornamento dei nuovi vocaboli ancora non esistenti nella lingua latina. Sarà forse il segno del “cambio di paradigma?”

Articolo Precedente

Adolescenti, fino a 6 ore al giorno attaccati allo smartphone e dipendenti dalle notifiche

next
Articolo Successivo

Economia circolare, rigenerazione edilizia, accoglienza, politiche energetiche: i piccoli comuni diventano laboratori

next