L’idea che l’Italia sia il Paese dei tesori nascosti è coltivata da molti. Certo, cambia l’accezione. Nel passato sono stati chiamati “Giacimenti culturali”. Qualcuno ha sostenuto in maniera più esplicita si tratti proprio di un “petrolio”. Altri, più semplicemente, li chiamano “tesoro”. In ogni caso, qualunque sia la definizione scelta, non muta lo scopo finale della ricerca che precede il loro “ri-trovamento”. Devono essere sfruttati, proprio come si fa per i “normali” giacimenti. Devono essere monetizzati come si fa per il petrolio. Sono portatori di ricchezza e, naturalmente, vanno esibiti, come si fa con i tesori.

Il tema non è naturalmente centrale nel nostro Paese, al quale interessano generalmente di più i gossip e le baruffe politiche. Del tema si ritorna a parlare quasi sempre nelle stesse occasioni. Quando un nuovo ministro dei Beni culturali si insedia, anche per rivendicare al proprio dicastero una rilevanza che spesso in realtà non ha. Ma poi torna, forse anche più prepotentemente, quando si verifica qualche scoperta sensazionale. Insomma quelle che finiscono sui quotidiani e addirittura a volte in tv. Così, immancabile, ecco riaffiorare l’immagine dell’Italia terra dei tesori.

A fornirne inconsapevole spunto il rinvenimento di una bella testa ideale di divinità, forse Dioniso, negli scavi che si stanno realizzando tra via Alessandrina e il Foro di Traiano, lungo via dei Fori imperiali, naturalmente a Roma. Qualche settimana prima era toccato ad una sala riccamente decorata della Domus Aurea finire sotto i riflettori. Centauri, pantere, animali marini, persino una sfinge che svetta solitaria, a cui si deve il nome dato alla sala dagli archeologi, sono stati svelati allo stupore del mondo. Accadrà ancora che qualche scoperta farà notizia.

Gli archeologi sanno bene che le grandi scoperte sono tantissime, ogni giorno in Italia. Già perché le grandi scoperte non sono necessariamente quelle che nella migliore delle ipotesi andranno ad arricchire la sala di un Museo oppure, come accade più di frequente, finiranno in qualche deposito. Certo, ci sono scoperte che finiscono per avere una rilevanza particolare. Scoperte che permettono di celebrare il nostro patrimonio, ma anche che fanno recuperare la storia dell’Italia, terra di tesori, che il terreno nasconde. Per questo bisogna scavare, sostengono in tanti. Affascinati dall’idea della scoperta piuttosto che consapevoli che alla fase dello scavo deve necessariamente seguire quella della tutela e della corretta valorizzazione. Altrimenti non soltanto finisce per diventare inutile “scoprire”, ma perfino dannoso. Ma si sa, l’affermazione che siamo il Paese del tesoro, è una trappola, neppure tanto nascosta, ma nella quale cadere è fin troppo facile.

Come è accaduto a Massimo Gramellini, qualche giorno fa. “L’Italia non è solo un museo a cielo aperto, ma una penisola del tesoro, e molti bauli si nascondono ancora nel sottosuolo, in attesa di qualche novello Schlimann, che li vada a stanare”, ha scritto sul Corsera, probabilmente spinto dall’emozione dell’ultima scoperta. Emozione che, deve avergli suggerito un vero e proprio slogan sulla necessità di “iniziare a scavare”. Slogan che oltre ad essere improntato alla banalità, è anche pericoloso. Già perché alimentare la ricerca di capolavori, crea l’illusione che l’archeologia sia una materia interessata alla scoperta sensazionale. Come già ritiene un buon numero di persone. Pericoloso anche perché contribuisce alla sclerotizzazione dell’idea secondo la quale abbiamo un petrolio che aspetta solo di essere estratto. Quanto questo ragionamento sia sbagliato ogni archeologo lo sa. Lo ha appreso fin dalle lezioni del primo anno, all’Università, dai professori dei corsi di archeologia. “Si intraprendono indagini regolari, soltanto se si hanno risorse finanziare che assicurino prima i restauri e poi la manutenzione”, ripetevano quei professori. Scavare non è dissotterare, insomma. Non ha senso andare in cerca di nuovi tesori. Insomma di “capolavori… che non si sono ancora visti ma che pure esistono sotto i nostri piedi, da qualche parte”.

L’Italia non è “la penisola del tesoro” da scavare, ma la terra nella quale lo Stato non riesce a rispondere alle richieste di interventi, anche se urgenti, di tante aree archeologiche.

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