Ce lo racconta un film recente, Brexit: the Uncivil War, andato in onda a gennaio in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Ce lo spiega la giornalista d’inchiesta Carole Cadwalladr, bannata da Facebook per aver scoperchiato lo scandalo Cambridge Analytica, in una conferenza al Ted di Vancouver di pochi giorni fa che – come si dice sempre in questi casi – è subito diventata virale.

Tutto cominciò con il referendum sulla Brexit quando, violando i limiti di spesa delle leggi elettorali britanniche, si convinsero gli inglesi di panzane galattiche: tipo che 76 milioni di turchi aspettavano solo di trasferirsi in Europa; tipo che i 350 milioni di sterline destinati settimanalmente all’Unione europea, con la Brexit sarebbero stati reinvestiti nell’istruzione o nella sanità.

 

Per tutto questo c’è anche un nome scientifico: beninteso, se non vi fa schifo la scienza. Il nome giusto sarebbe neo-populismo digitale: ma chiamiamolo pure populismo e basta, sia perché ormai gli diamo del tu, sia perché sta soppiantando tutti i populismi precedenti, al punto che uno di questi giorni lo chiameremo semplicemente democrazia. È la spiegazione della Brexit, della vittoria di Trump e persino del fatto che il governo giallo-verde, se credete ai sondaggi, ha ancora una comoda maggioranza, benché sia visibilmente scoppiato. Mettiamoci pure la vittoria del comico Zelenski in Ucraina, con il 73% dei voti, una percentuale che un tempo si sarebbe detta bulgara, ma soprattutto cerchiamo di spiegare come funziona.

Intanto, occorre un’opinione pubblica divisa su qualche grande tema, eventualmente inventato apposta per dividerla, come la Brexit. Ma soprattutto serve una quantità enorme di cittadini che, avendo smesso di (dis)informarsi sui giornali, si (dis)informa quotidianamente sul proprio smartphone, credendo che almeno sia gratis. A quel punto basta ottenere da Facebook una montagna di dati personali, profilare gli elettori, mandandogli le feed news giuste – tipo che la Terra è piatta o che Salvini in fondo è buono (o cattivo, se siete salviniani) – e il gioco è fatto. Ma, attenzione, per vincere non basta pagare i vari Steve Bannon, Dominic Cummings o Luca Morisi di turno: sarebbe troppo bello (o troppo brutto, fate un po’ voi). Occorre prima dividere gli elettori e poi spostare dalla propria parte la porzione decisiva di indecisi, com’è avvenuto con la Brexit.

Giacomo Dotta, che lavora nel ramo, riconosce che le cose sono andate proprio così, ma mette in guardia dal dare tutta la colpa a Facebook: e ha ragione. Mark Zuckerberg, il fondatore, di cui si parlava già come del prossimo presidente degli Stati Uniti, è stato il primo a farsi fregare da chi ha usato i suoi dati. Inoltre, più in generale, ne sappiamo ancora troppo poco: stiamo parlando di tre anni, dal 2016 a oggi, un po’ poco per generalizzare. Io, però, andrei ancora più in là: questa cosa del (neo)populismo (digitale) non deve diventare un alibi, in particolare per quel che resta della sinistra, del tipo “noi eravamo così belli e buoni, ma siamo vittime di un complotto”. Certo, internet è davvero un’arma letale, il cui commercio andrebbe regolamentato. Nel frattempo, però, bisogna imparare a usarlo meglio.

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