“Meritiamo rispetto!”. Quando chiedi a Leonardo Melle cosa deve cambiare nell’approccio al mondo della disabilità la sua risposta è chiara, semplice, precisa. A 36 anni Leonardo è stato improvvisamente colpito da un aneurisma cerebrale: era pomeriggio, stava riposando e un’arteria gli è esplosa nel cervello. Dopo il coma, la riabilitazione, oggi Leonardo è riuscito a vincere la sua battaglia personale, sfidando anche i dubbi dei medici: è salito sul suo triciclo e ha cominciato a partecipare a gare regionali, nazionali e internazionali. Diventando campione del mondo della disciplina. “E c’era qualcuno che diceva che sarebbe stato impossibile”, sorride.

Oggi Leonardo ha 47 anni, vive a Manduria e ricorda perfettamente il momento in cui è cambiata la sua vita. Aveva una compagna, un lavoro di cui andare fiero, era a capo di un’impresa con diversi dipendenti ed era conosciuto da tutti in paese. Poi, il crollo. “Non te lo aspetteresti mai. Un pomeriggio, mentre riposavo nel mio letto, mi è praticamente esplosa un’arteria nel mio cervello”, racconta. Quando arriva l’ambulanza Leonardo è già in coma, in ospedale tentano di rianimarlo: si arriva a un punto in cui non c’è più funzione cerebrale. “Così, mentre in paese mi avevano già dichiarato morto – sorride amaro – io mi risvegliavo”. L’operazione dura nove ore: “I medici non si spiegano come abbia fatto a riprendermi”.

I medici non si spiegano come abbia fatto a riprendermi

Così a 36 anni comincia la sua seconda vita. Il nuovo traguardo era lasciare il letto e riuscire a stare sulla sedia a rotelle: “Andare sulla carrozzina sarebbe stata la cosa più bella al mondo”, ricorda. Leonardo ne fa mettere una dal caporeparto proprio davanti al suo letto. “Mi legavo con le braccia e grazie ai miei compagni di stanza me ne andavo per i corridoi, di notte, mentre quasi tutti dormivano in ospedale”.

È vero, Leonardo non riesce a camminare bene né a stare in piedi a lungo: i muscoli non reggono abbastanza. È come se una metà del corpo, la sinistra, fosse completamente inerme. L’altra metà, invece, ha 47 anni. Ed è in questo contesto che si inserisce la sua voglia di fare sport. Di sentire il vento in faccia. Magari pedalando.

Durante la riabilitazione Leonardo conosce la sua attuale compagna, Rosa, nella sala d’attesa di uno studio di fisioterapia. “Mentre facevo terapia ho sognato di andare sulla cyclette: quando ho fatto le prime pedalate ho pianto per un giorno intero”. Ma Leonardo non si ferma: chiama suo zio, che di professione fa il falegname, e si fa realizzare delle protesi di legno. “Prima sono uscito in corridoio, poi nel cortile, e infine in strada”.

Lo sport per Leonardo è vita, nel vero senso della parola. “Per me è stato come rinascere e tornare a esistere come persona con la mia individualità, senza nascondermi”. Ma le battaglie sono solo all’inizio: purtroppo in Italia per Leonardo la disabilità non trova ancora pieno riconoscimento. “I disabili devono vivere, non sopravvivere. Possiamo avere i nostri obiettivi che ci tendono la mano. Lo sport ci aiuta ad afferrarla e ci spinge a provarci”.

Vivere al Sud significa anche stare fuori dal mondo sportivo paralimpico che conta veramente. Viviamo quasi da emarginati

I risultati sportivi non si sono fatti attendere. Dal 2015 al 2017 Leonardo è stato campione italiano ed europeo; per 5 anni consecutivi è stato al primo posto del ranking mondiale; nel 2017 è stato vicecampione del mondo in Sudafrica sulla prova in linea e medaglia di bronzo in quella a cronometro; nel 2018 ha indossato la maglia di campione del mondo nelle gare in Olanda e in Belgio. “Doveva partire alle 13 per Bruxelles, gli ho consegnato le ruote alle 12,30 lavorando tutta la notte, mia moglie pensava fossi impazzito”, racconta Luigi Dimitri, operaio che ha lavorato alla costruzione del suo triciclo professionale che contribuisce in piccola parte alle sue vittorie in giro per il pianeta.

Leonardo fa parte di un team, il Calcagni Asi Heyoka, che gli permette di allenarsi quotidianamente, vivendo lo sport con serenità e gioia. “Essere meridionale mi riempie di orgoglio, ma vivere al Sud significa anche stare fuori dal mondo sportivo paralimpico che conta veramente, viviamo quasi da emarginati”, conclude. Solo la grande passione e la voglia di andare avanti lo spingono a sopportare ogni difficoltà burocratica ed economica. “La disabilità è una risorsa non un tabù, i media devono aiutarci e non strumentalizzarci. Non siamo baracconi da circo”.

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