La tragedia dell’incendio di Notre-Dame mette a nudo tutte le nostre insufficienze culturali, i nostri riflessi condizionati, la nostra difficoltà di capire. E dunque di amare. I titoli e i commenti sulle tv (per non parlare dello sfogatoio dei social) sembrano ondeggiare tra due estremi: “Notre-Dame non c’è più” e “Ma quale dramma, era tutto ‘finto’, e comunque la chiesa si è salvata”.

Allora: la chiesa per fortuna c’è ancora. E dire il contrario è vile sensazionalismo. Il tetto, guglia compresa, tornerà – almeno apparentemente, anche se lentamente – com’era e dov’era. Tuttavia quella foresta di legname (in parte ancora medioevale) non ci sarà più: come un organismo curato, con protesi efficienti. Non più integro. Ma c’è un ma. Il danno più grave, irreparabile, potrebbe essere quello dell’interno della chiesa. Un meraviglioso palinsesto, cioè un organismo vivo accresciutosi durante otto secoli: opere medioevali e rinascimentali, quadri e statue del barocco, arredi di ogni periodo, reliquiari, corpi santi, decorazioni. Cosa ne sarà stato?

Non lo sappiamo ancora: perché finché non è chiaro lo stato della struttura, e dunque finché non sono esclusi crolli, è impossibile entrare per verificare lo stato di questa sterminata selva di opere d’arte e testimonianze storiche. Una selva che era (spero sia ancora) il vero capolavoro. Drogati dalla retorica del capolavoro assoluto, perdiamo di vista il vero capolavoro, quello “relativo”: e cioè la rete di relazioni che lega le opere e le nostre vite. Sì, non c’è Leonardo e non c’è Caravaggio a Notre-Dame: c’è qualcosa di più importante, la stessa cosa che dà senso a Leonardo e a Caravaggio. E cioè la carne e il sangue della storia: perché Charles Le Brun o Guido Reni o Pigalle o Coysevox non sono meno importanti.

Oltre all’ignoranza c’è ancora peggio: l’islamofobia, la paura del diverso, il delirio identitario delle “radici cristiane”. Sì, Notre-Dame è una chiesa. Ma è anche un monumento civile, laico. Appartiene allo Stato, non alla Chiesa. E proprio lì si forma, al tempo della Rivoluzione del 1789, il concetto stesso di patrimonio culturale: di un insieme di monumenti, cioè, che appartiene a tutti i cittadini. Cristiani o atei, o di qualunque fede. Oggi milioni di ebrei e musulmani francesi piangono la loro Notre-Dame. Pienamente loro. E pienamente nostra in quanto europei: perché quelle fiamme ci ricordano che non c’è solo l’Europa delle banche. Un’Europa plurale, inclusiva: che costruisce il futuro attraverso la conoscenza del passato.

Il fantasma del terrorismo serve anche a esercitare una banale verità: i monumenti sono fragili e hanno bisogno di cure. Sono corpi vivi, e possono morire. Anche per un cortocircuito di un cantiere non sicuro. E allora bisogna amarlo, questo patrimonio: finché c’è. E amarlo vuol dire conoscerlo, visitarlo, studiarlo: e finanziarlo. Come non si è fatto per Notre-Dame, tenuta sul filo della sopravvivenza dalla stessa classe politica che oggi esibisce il lutto. E come succede in tutta Italia. Notre-Dame siamo noi; ricordiamocelo anche domani.

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