Un cielo di 4mila stelle, 6 proiettori digitali sincronizzati per una visione interattiva della volta celeste in una sala semisferica da cupola bianca. Siamo nel Planetario di Cosenza, tra i più innovativi non del sud ma del Paese tutto, dedicato all’astronomo cosentino rinascimentale GianBattista Amico.

Contemporaneo di Telesio, membro permanente dell’Accademia cosentina, morì a soli 26 anni “nel miglior corso della sua età per invidia”, ucciso da un sicario rimasto sconosciuto, come recita l’epitaffio che si trova a Padova, capitale continentale del pensiero aristotelico di tradizione latina, dove studiò. A lui il merito di aver anticipato le teorie copernicane. Fu figura di passaggio tra crisi del sistema ideato da Tolomeo (l’ultimo astronomo del mondo antico) e affermazione delle teorie eliocentriche, ma anche precursore del realismo di Galilei. Non una semplice intitolazione quindi ma il segnale del recupero d’una memoria identitaria perduta, quella di uno studioso che in quanto a scienza astronomica è stato anello di congiunzione tra antichità e modernità.

Sold out per il primo calendario di entrata a “riveder le stelle”. Passeggiate celesti per visitatori accompagnati da oratori d’eccezione: gli astrofisici Sandra Savaglio e Franco Piperno. E temi che spazieranno dalla comprensione del cielo dantesco alla terra vista come una trottola (per capire i moti di rotazione, rivoluzione e precessione); dall’orientamento attraverso le stelle, come succede per gli animali sociali (siano api o lupi del nord) ai miti nell’astrologia greco-babilonese o maya; dai segni zodiacali alle mappe natali; dalla lettura in metrica dei versi di Lucrezio sulle costellazioni ad esecuzioni di musica delle sfere celesti, seguendo lo spartito di Keplero.

Uno spettacolo cosmico per poter ammirare, in una sala di 113 posti e grazie al proiettore ottico starmaster “Zmp” della Zeiss (unico in Italia e tra i migliori d’Europa) Orione, il Cigno, la Lira, Perseo. Osservazioni propedeutiche a quelle ad occhio nudo con telescopi, che avverranno dai bastioni del Castello Svevo di Cosenza o dai casali presilani, dove il cielo è più visibile perché non intorpidito dalla luce pubblica, come del resto nella città bruzia, illuminata da lampade cut-off che proiettano la luce verso il basso e sono di contrasto all’inquinamento luminoso.

Un sogno lungo vent’anni per un Planetario ovvero un’opera che vuol dire più cose. Intanto un presidio culturale urbano: una sala con una volta celeste da grande schermo in cui farsi rapire fulldome, su poltrone basculanti, da immagini spettacolari tridimensionali di asteroidi, aurore boreali, lupi e perché no balene. Ma anche uno strumento didattico, luogo di diffusione della conoscenza scientifica. Un’opera che inneggia alla bellezza e che sa di rigenerazione urbana d’un quartiere, Gergeri: la struttura sorge sulle fondamenta di un vecchio mattatoio poi utilizzata dalla comunità rom (che un tempo occupava le adiacenti baracche) come nascondiglio di refurtiva; oggi è simbolo di un luogo che ridisegna lo skyline della città contemporanea. Uno spazio affidato ad un comitato scientifico fatto dai cervelli migliori, tra cui una calabrese, Manuela Zoccali, che dirige un osservatorio astronomico in Cile, a testimonianza di tante intelligenze emigrate altrove. Un luogo dove sperimentare un rapporto costruttivo con quella culla di saperi che è l’Università della Calabria, per nuovi modelli di gestione degli spazi pubblici. Soprattutto un aldiquà dove potersi riconnettere con un aldilà, con dimensioni inusuali perché un posto dove poter riabituare l’occhio, lo sguardo, con l’esperienza del cielo vuol dire riprendersi i tempi della natura.

Un’opera di felicità pubblica con l’ambizione di rieducare una comunità ad un rapporto di curiosità e conoscenza della volta celeste, dei movimenti fondamentali che vi si svolgono con lo scorrere delle ore, dei giorni, degli anni, dei secoli, dei millenni. Una rarità che ha un ché di straordinario.

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