“Non credo di far parte di una generazione choosy, come disse Elsa Fornero. Dopo la crisi ci siamo rimboccati tutti le maniche, le persone si scapicollavano per trovare qualsiasi cosa”. Daniele Marzeddu è un fotografo professionista, nato a Bologna da genitori sardi e cresciuto a Venezia. Da 4 anni vive e lavora in Inghilterra come fotografo. Oggi quarantenne, non si è mai riconosciuto nella definizione di “schizzinoso”, né in quella di “bamboccione” (copyright: Tommaso Padoa Schioppa, anno 2007). Dopo la laurea, in Italia, ha fatto ogni tipo di lavoro: operatore di call-center, telemarketing, scaffalatore nei supermercati, promoter, facchino, raccoglitore di frutta, cameriere, cameraman. “Mi sono sentito molto denigrato da quelle affermazioni”, racconta.

Oggi Daniele vive a Northampton nelle Midlands, tra Birmingham e Londra, dove lavora per diverse agenzie fotografiche. In più svolge un’attività part-time come specialista di fotocamere digitali: si occupa di spiegare le funzionalità dei prodotti di alta gamma ai clienti. “Sono molto contento perché stati loro a cercarmi, attraverso i recruiter: ho un contratto a tempo indeterminato da novembre 2017, con le ferie pagate. Mi pagano tre volte di più di come mi pagavano in Italia lo stesso lavoro, circa trecento euro al mese, prima di essere lasciato definitivamente a casa. Ma è soprattutto il trattamento umano ad essere migliore: ho piena libertà su come promuovere i prodotti e ho un ottimo rapporto con i miei colleghi di ogni nazionalità”.

Qui ho piena libertà su come promuovere i prodotti e ho un ottimo rapporto con i miei colleghi di ogni nazionalità

Daniele si è laureato in Beni Culturali a Venezia, città dove è cresciuto, nel 2003. L’anno dopo è partito per Lisbona con la borsa di studio “Leonardo”, che permette tirocini in aziende europee. Si forma alla Cineteca nazionale portoghese, dove si specializza nella conservazione di film e fotografie. “Avevo trovato alcune opportunità lavoro a Lisbona e mio padre, che lavorava nella pubblica amministrazione, mi consigliava di restare all’estero: in realtà sono tornato per stare con la mia fidanzata di allora”. Per tre anni ha lavorato a Firenze e poi si è trasferito a Bologna. “La città è culturalmente molto vivace, immaginavo di trovare lavoro facilmente. Invece nulla, ho scritto a tutte le associazioni, biblioteche, archivi, niente: curricula ignorati”.

Era il 2008, la crisi aveva cominciato a falcidiare i posti di lavoro. Racconta di amici e colleghi rimasti a casa: “L’unico lato positivo è che si è creata una certa solidarietà tra le persone, ci si è aiutati a vicenda, sia tra chi come me entrava in quel momento nel mercato del lavoro, sia tra persone più anziane tagliati fuori dalla certezza del posto fisso”. Così, mentre si arrangiava con vari lavori e lavoretti, ha deciso di investire sulla passione che coltiva fin da bambino, la fotografia. “Avevo cominciato a sette anni seguendo mio padre, poi avevo fatto dei corsi, ma non avevo abbandonato l’idea di lavorare nel mondo dei beni culturali: perciò ho fatto colloqui per un posto da catalogatore in una prestigiosa istituzione cittadina”. Non ha ottenuto il posto, ma le parole del presidente di commissione gli sono rimaste in mente: “Lei è molto bravo, che ci sta a fare ancora qua in Italia?”. Raccontando questo episodio, aggiunge: “Mi secca dirlo, ma la mia opinione è che non avendo studiato a Bologna e avendo abitato da altre parti prima, non avrei potuto lavorare nell’élite culturale bolognese”.

Nonostante Brexit, non mi sono mai preoccupato di perdere il lavoro o di dover rientrare

 

Nel frattempo, un suo amico aveva lasciato un lavoro in nero a Milano per essere assunto a tempo indeterminato in uno studio di interior design londinese: nonostante il desiderio di restare in Italia, l’ultima delusione professionale ha convinto Daniele ad attraversare la manica. “Il mio primo lavoro è stato in un archivio fotografico a Portsmouth, poi nel Devonshire, l’ultimo lembo di terra prima della Cornovaglia“. Si trovava lì durante il referendum Brexit: “Il Devon è una regione decisamente pro-leave, con un gran malcontento verso le istituzioni europee, soprattutto tra le persone più anziane che avevano nostalgia di una certa grandeur britannica. Però non mi sono mai preoccupato di perdere il lavoro o di dover rientrare, piuttosto ho dovuto rassicurare i miei genitori, perché i media la dipingevano come una catastrofe“. La vita in una città come Northampton, 195 mila abitanti, permette un risparmio significativo: “Mi sono sempre tenuto fuori da Londra, che ha costi esorbitanti. Mi sposto spesso per lavoro: con un’ora di treno sono a Londra, e le autostrade sono gratuite”.

Daniele è molto soddisfatto del suo lavoro attuale, che spazia dall’architettura alla fotografia in 3D: “Grazie a una macchina con 12 lenti si ottiene un tracciato virtuale visualizzabile con gli occhiali o dai computer. Una tecnologia importata dagli Stati Uniti, per me è stata una novità incredibile: mi hanno subito dato facoltà di usare questi macchinari, appena dopo essere arrivato”. Negli ultimi anni c’è stato un boom della fotografia: l’e-commerce, i vlog, i blog di moda o di viaggi, solo per fare una manciata di esempi. “Spesso mi capita di occuparmi di cibo: con tutte le app di consegna a domicilio è esplosa la food photography. Qui si sono aperte molte opportunità di lavoro, in Italia non lo so”. Ma ricordando gli anni in cui ha lavorato nel Belpaese aggiunge: “Per me è stata una mannaia sentirmi dire che facevo un lavoro da sfigato. O che ero choosy. Per tanti anni ho lavoravo sottopagato, o addirittura gratis. Spesso dovevo rincorrere i furbetti che non mi pagavano, poi con la crisi ho perso i grossi clienti”. Ricorda soprattutto con amarezza il fatto di dover chiedere aiuto ai suoi genitori per ripagare l’erario: “Qua si paga il 20% di tasse – sia per il lavoro dipendente che da freelance – in più fino a 80mila sterline non si è soggetti all’iva. Quando avevo la partita iva in Italia il commercialista mi disse che conclusi i cinque anni di partita agevolata avrei pagare il 53% di tasse. Sono stato costretto a chiuderla”. Adesso il lavoro ha preso tutta un’altra piega: “Non mi è mai capitato di essere disoccupato: anzi, ci sono stati alcuni periodi in cui non riuscivo a star dietro a tutte le richieste che avevo”.

Alla domanda “cosa ti manca di più dell’Italia”, Daniele ci pensa su. “Non lo so”, dice alla fine. Forse la terra delle sue radici, Oristano: “Sto portando avanti un progetto di promozione della cultura sarda, Our Sardinia, con delle foto mie e delle performance artistiche: la musica di Claudio Sardu, la lettura di passi di D. H. Lawrence, che ha scritto una sorta di diario di viaggio dalla Sardegna. È un progetto itinerante per l’Europa: andremo anche a Berlino e a Londra. Mi piace pensare di poter conservare questo legame con l’Italia, far conoscere culture meno conosciute del nostro Paese, un po’ di nicchia”. L’Italia, ormai, è soprattutto un luogo di vacanza: “Mi piace portarci la mia compagna: lei è nata a Northampton, gli inglesi pensano all’Italia come un posto molto fashion, pieno di bellezze: ecco, il mio sogno è poter essere itinerante, vivere sei mesi qui nelle Midlands e sei mesi in Sardegna“.

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