Qualcosa non torna nel piccolo manifesto su Chiesa e pedofilia, che l’ex pontefice Benedetto XVI ha diffuso su un mensile ecclesiale bavarese (Klerusblatt) sotto la modesta definizione di appunti ma che di fatto ha l’impatto di una “autorevole” contro-indicazione rispetto all’approccio che faticosamente papa Francesco sta seguendo nell’affrontare i nodi della pedofilia del clero. Ratzinger lamenta un crollo spirituale, un “collasso della teologia morale cattolica” un disarmo etico che avrebbe reso la Chiesa inerme dinanzi al relativismo imperante nella società e – come altre volte in passato – attribuisce la colpa di queste deviazioni alla teologia “conciliare” (di una malintesa interpretazione del concilio) e più in generale al tramonto di Dio dalla scena pubblica. Sono qui le radici, sottolinea, del diffondersi della piaga della pedofilia in seno alla Chiesa.

Qualcosa non torna in questo pamphlet. Non torna, intanto, il momento scelto. E’ vero, Francesco ha dato al suo predecessore carta bianca: incontri chi vuole, scriva, viaggi. Anche in questo caso ha dato generosamente via libera alla pubblicazione del testo (sapendo peraltro che i suoi avversari sarebbero stati felici di alzare lamenti veementi per una “censura” all’ex pontefice).
Ciò nonostante il papa emerito avrebbe dovuto scegliere il silenzio in presenza delle grandi difficoltà che il papa regnante sta incontrando nel gestire il problema. Nei momenti più gravi una sola voce si deve sentire al vertice. Altrimenti si semina confusione. Se Ratzinger si è mosso diversamente è segno che intorno a lui sono state intense in questi mesi le voci di coloro che, come i cardinali Brandmueller e Mueller impegnati in un’operazione di distrazione di massa, addossano le colpe della pedofilia in seno alla Chiesa alla cultura gay e alla perdita della fede.

Ma non torna soprattutto la tesi centrale della narrazione ratzingeriana. La sua descrizione di un drammatico rilassamento dei costumi dovuto alla rivoluzione sessuale degli anni Sessanta, che avrebbero (in toto!) predicato la liceità della pedofilia, come causa scatenante della diffusione degli abusi. Cosa c’entra l’abbandono da parte della Chiesa di un’etica basata sul diritto naturale con la pedofilia? Cosa c’entrano i mutamenti della teologia morale cattolica, cosa c’entrano le combriccole gay nei seminari, cosa c’entrano i filmini porno, cosa c’entra la relativizzazione dei valori e del giudizio morale?

Ratzinger sa bene che la pedofilia ha accompagnato tutta la storia dell’istituzione ecclesiastica, solo che secolo dopo secolo è stata pervicacemente nascosta. Ratzinger sa bene che già il concilio dei vescovi spagnoli ad Elvira nel 306 – agli albori del riconoscimento ufficiale del cristianesimo nell’impero romano – condannò gli “stupratori di fanciulli” negando loro la comunione persino in punto di morte. Altro che rivoluzione del ’68.

Ratzinger sa bene, perché lo ha scritto lui stesso nella sua lettera ai cattolici irlandesi nel 2010, che la malattia che ha infettato le strutture ecclesiastiche è stato il costante rifiuto di ascoltare le grida delle vittime innocenti per difendere a oltranza il prestigio dell’istituzione. In realtà, come ha scritto papa Bergoglio, se la pedofilia è un cancro diffuso in tutta la società (e massicciamente in ambiti familiari, come dimostrano le statistiche), la pratica impunita della pedofilia in ambito del clero è stata fondata per secoli sull’abuso clericale del potere: abuso di coscienza, abuso di corpi. Come rivelano e riveleranno sempre di più anche le denunce sugli abusi inflitti dal clero alle donne.

Addirittura grottesco è il tentativo dell’ex pontefice di addossare allo spirito “conciliare” il garantismo estremo dei processi ecclesiastici, volto alla tutela ad oltranza dell’accusato “al punto da escludere praticamente – è scritto nel saggio – la condanna del colpevole”. Dunque sarebbe colpa dei fautori del Concilio, detto in parole povere colpa dei riformatori, se la rete degli insabbiatori e dei legulei, che in ogni modo hanno cercato e cercano tuttora di impedire processo e condanna dei chierici predatori, si è rivelata sempre così tracotante e potente?

(C’è un aspetto rancoroso nel testo di Ratzinger, che contrasta con la lucidità del teologo e del predicatore che a Londra, Berlino e Parigi ha affascinato con i suoi discorsi le élites politiche e culturali. Scrive il papa emerito che in quegli anni del dopo-Concilio “in non pochi seminari (accadeva che) studenti, scoperti a legge i miei libri, venivano considerati non adatti al sacerdozio. I miei libri venivano nascosti come fossero scritti sconci e quindi letti sottobanco…”. Parole sorprendenti. Davvero, dentro e fuori del mondo cattolico, nessuno si è accorto di questa presunta persecuzione. Al contrario Introduzione al cristianesimo, pubblicato da Ratzinger proprio nel 1968, era ed è considerato un classico che ha nutrito generazioni di studenti di teologia).

Benedetto XVI, durante il suo pontificato, ha cacciato dalle fila del clero circa ottocento preti abusatori. Sarebbe ingiusto dimenticarlo. Ma sarebbe giusto che il papa emerito si ricordasse anche che è stato lui a evitare il dovuto processo a Marcial Maciel, regalando ad un personaggio mostruoso abusatore persino di suo figlio, l’esilio dorato di una “vita ritirata” dedita alla preghiera. Con questo negando la dovuta giustizia alle vittime, lasciate a sbrigarsela da sole con il dramma delle loro vite stuprate. Il tramonto di Dio dalla scena sociale qui non c’entra.

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