Il disegno di legge Pillon, contestato il 9 aprile scorso per l’ennesima volta, non piace a tutte le associazioni dei padri separati. Dopo il presidio davanti a Montecitorio, la discussione sul testo di legge è slittata al 7 maggio. Sarà accorpato ad altri cinque testi correlati (alcuni peggiori del ddl Pillon).

La contrapposizione tra sostenitori e detrattrici del ddl non rispecchia la contrapposizione tra uomini e donne, tra padri e madri. In piazza a Montecitorio martedì, c’erano anche uomini, così come sono sempre più presenti nelle manifestazioni del 25 novembre, così come c’erano anche il 30 marzo scorso a Verona, alla manifestazione organizzata da Non Una di Meno contro le teorie misogine e omofobe del Congresso delle Famiglie. Sono quelli che dicono no alla cancellazione dei diritti delle donne e al ritorno a una schema di famiglia che punta a una restaurazione di stampo patriarcale.

Parlando con Jakub Stanislaw Golebiewski, presidente di Padri in Movimento (Pim), ha fortemente criticato l’impianto del ddl Pillon fin dalla sua presentazione perché “rispecchia una forte azione di rivalsa genitoriale che vuole spostare l’ago della bilancia dai padri separati alle madri, senza risolvere nulla dal punto di vista pratico ed economico di quel 20% di separazioni giudiziali che rimangono appese ai Tribunali”. Il presidente di Pim punta il dito anche contro la mediazione obbligatoria e a pagamento anche in caso di violenza domestica e cita i dati Istat, quel 51% delle donne che in Italia non riesce a lavorare per una crisi che da più di un decennio tiene le famiglie in pugno. Una “reale emergenza che rende evidente che – dice Golebiewsky – coloro che sostengono il ddl Pillon lo fanno principalmente per mero interesse economico al fine di ridurre o azzerare l’assegno di mantenimento per i figli accettando di strapparli alla loro stabile e serena vita con il genitore prevalente e collocatario, quello che da sempre si è interessato in prima persona di loro”.

Per il presidente di Pim è inaccettabile l’idea che i figli siano costretti a stare “per forza” con papà utilizzando la Pas nei Tribunali come elemento discriminatorio per la collocazione dei minori: “Sono molto scettico sulla sostenibilità dei tempi paritetici da parte dei padri, i Tribunali fotografano una situazione precedente alla rottura familiare e la ripropongono, nell’interesse dei minori anche dopo la separazione. Se un padre non era in grado di garantire più di otto giorni di presenza in famiglia al mese per motivi di lavoro, come può richiederne 15 al fine di garantire una concreta bigenitorialità? Una legge, la 54/2006 già esiste e tutela l’interesse dei minori per cui sarebbe opportuno migliorare quanto di buono si è riusciti a fare fino ad oggi piuttosto che stravolgere un equilibrio già delicato con un ddl che vorrebbe riportarci a un pericolosissimo patriarcato. Il ddl Pillon va ritirato dalla Commissione Giustizia. Credo che moltissimi papà dovrebbero farsi un esame di coscienza iniziando ad agire esclusivamente per il bene dei figli, lavorando sulla qualità del tempo e facendo attenzione alla loro cura perché saranno proprio loro, un giorno non troppo lontano, a essere i nostri Giudici”.

Una posizione quella di Pim vicina a quella delle attiviste dei Centri antiviolenza che martedì hanno esposto cento metri di firme contro il disegno di legge Pillon. Due striscioni, 50 metri l’uno, con le 170mila firme raccolte dalla petizione su Change.org, promossa alla fine della scorsa estate da D.i.Re Donne in Rete. Il presidio è stato lanciato in piazza Montecitorio a Roma da D.i.Re e hanno aderito la Casa internazionale delle Donne, Non Una Di Meno, Cgil, Arci, Rebel Network, Udi (Unione donne in Italia), Cismai (Coordinamento italiano servizi maltrattamento infanzia) e con Arcilesbica-Roma. “Martedì mattina davanti a Montecitorio – mi ha detto Lella Palladino, presidente D.i.Re – schierate contro il ddl non c’erano solo le attiviste dei Centri antiviolenza ma anche, simbolicamente, quelle 170mila persone che hanno aderito all’appello D.i.Re. Ora la discussione sul ddl Pillon e altri cinque disegni di legge correlati, è stata spostata al 7 maggio. Il problema è stato solo rinviato ma non risolto e non lo sarà, fino a che tutti e cinque disegni di legge non saranno ritirati. Noi continuiamo a essere preoccupate e vigileremo mantenendo alta l’attenzione e restiamo in mobilitazione permanente. La nostra protesta non è contro i padri, come è stato detto erroneamente. Nessuno pensa che non debbano stare insieme ai figli. Ci preoccupa invece che sia varata una legge che non tiene in considerazione le disparità economiche tra donne e uomini che ancora persistono nel nostro Paese o che non tenga in considerazione la realtà della violenza intrafamiliare“.

Vincenzo Spadafora, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, nei giorni scorsi aveva parlato di archiviazione del ddl Pillon poi cinque senatori, tre leghisti e due del M5s, hanno chiesto che la discussione sul testo passasse dalla sede redigente a quella referente. La discussione quindi si svolgerà prima in commissione eppoi in Aula e riguarderà un nuovo testo che accorperà il ddl Pillon e altri ddl. Le associazioni a tutela dei diritti delle donne non cedono e chiedono il ritiro del ddl Pillon. Il senatore Pillon dice che non lo ritirerà e finalmente ieri sera Luigi Di Maio ha rotto il silenzio del M5S con un post cerchiobottista.

Ha ammesso che “si può sbagliare”, ha parlato di “responsabilità”, ha criticato la “rigida divisione dei tempi dei figli tra i genitori” e che il ddl Pillon “sarà riscritto” (ma non ritirato) e non ha fatto alcun accenno al problema della esposizione della violenza per donne e minori. C’è chi parla di imbarazzo del M5S che nel contratto di Governo si è vincolato a una controriforma del diritto di famiglia che penalizza le donne, senza sapere che andasse a fare. C’è chi pensa che il Movimento 5 Stelle stia giocando con la Lega, sui diritti civili, come al poliziotto buono e a quello cattivo. E c’è chi vede qualcosa di positivo nelle dichiarazioni di Luigi Di Maio. Intanto si susseguono Governi che giocano sulla pelle delle donne: le rendono ostaggio di ideologie reazionarie e misogine e mostrano totale indifferenza alla erosione dei loro diritti (vedi legge 194) e usano i loro corpi per gli spot elettorali. Come quando tuonano contro la violenza sessista purché sia commessa da immigrati o invocano castrazioni per gli stupratori.

E tutto questo non avviene solo adesso. Ora è solo tutto più sfacciato.

@nadiesdaa

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