Elisa è siciliana, di Caltanissetta. Nella sua cella c’è un mazzo di fiori sistemato in una bottiglietta d’acqua mozzata. Forse sono finti, ma che importanza vuoi che abbia. Deve scontare ancora tre anni e tre mesi prima di uscire da San Vittore. Prima girava per l’Europa, organizzava rave. Ora è addetta alle pulizie nella prigione e quando esce spera di trovare subito un lavoro. Perché così è più semplice reinserirsi nella società.
Karim porta una maglietta di un bianco immacolato con qualche scritta nera che lo fa somigliare a un trapper e dice che fin dal primo giorno in cui ha messo piede in carcere ha capito cos’è la libertà. Quella di parlare con la sua famiglia, per esempio. Tre anni e sette mesi ancora da scontare. Di anni, lui invece ne ha 25. Quando esce ha già in mente cosa vorrebbe fare: o il magazziniere, o il pizzaiolo, oppure l’imbianchino.

Anche chi intervista questi due ragazzi nelle celle e nelle aree comuni del carcere milanese ha 25 anni, fa il cantautore/rapper e ha scelto di presentare il suo nuovo singolo, I Love You, proprio a San Vittore. Ghali e il carcere. Un rapporto che inizia durante l’infanzia di questo ragazzo nato a Milano da genitori tunisini. “Mano nella mano come due compagni di classe durante la ricreazione, andavamo a trovare papà in quel posto, sotto il sole cocente e sotto le nevi di Milano. “Quel posto” è il carcere e queste parole, Ghali le ha scritte per accompagnare un post su Instagram dedicato alla mamma, nel 2017. Ma il padre che è stato in carcere non è la sola ragione per la quale alcuni giornalisti si trovano dentro una grande stanza di San Vittore, in un pomeriggio di mezza primavera, insieme a un numeroso gruppo di detenuti giovanissimi, donne e uomini. Tutti lì, per ascoltare il nuovo brano del rapper.

Ghali usa la sua presentazione come megafono per restituire consapevolezza rispetto ai pregiudizi che spesso si avvitano intorno ai detenuti, soprattutto nella difficile parte del reinserimento nella società. Pregiudizi istintivi, forse i peggiori, un po’ come pretendere di leggere il futuro nelle ossa di pollo o nelle interiora delle rane. E Ghali, uno che ha capito che la sua voce conta dopo il successo maestoso dell’ultimo album, decide di portare a San Vittore un messaggio d’amore (la rima è involontaria, per carità): “Cara Italia è una canzone fatta con l’intento di scuotere qualcosa nell’anima di chi spesso decide le nostre sorti, di chi sta ai vertici – racconta – A un anno dalla sua uscita, nulla è cambiato e allora ho deciso di dedicare un’altra canzone d’amore, anzi una lettera d’amore, stavolta a chi sento più vicino, a un amico, a un fratello, a una sorella”. Perché I Love You è una lettera d’amore che dal carcere va verso l’esterno e viceversa. Scrivere una lettera. Dal carcere non si può fare altro. E anche fuori, male non fa.

Viene in mente At Folsom Prison (per il contesto, e solo per quello, ehi tu lettore che stavi già andando alla voce “commenta”per dire quanto paragonare Ghali e Cash sia blasfemo), quando dalle casse parte I Love You e i ragazzi iniziano a battere le mani e a ballare. Qualcuno borbotta, nemmeno troppo a voce bassa, che si tratta di un riuscito “marketing del detenuto“, qualcuno invece i giovani detenuti li guarda con una certa commozione.

Via le ritmiche trap, Ghali presenta un urban pop con suggestioni etniche. A mantenere il “sapore” della trap è l’autotune sulla voce. Il ritornello si lascia ballare e cantare. Freschezza e messaggio sociale. Non sorprende che Jovanotti abbia voluto il cantautore/rapper ospite nella data milanese del suo ultimo tour. Jovanotti e Ghali parlano la stessa lingua. Fratello maggiore e minore, generazioni che si confrontano e che per il momento non hanno alcuna intenzione di scontrarsi. Non serve dirlo (o forse sì) che di strada Ghali deve farne ancora tanta: il singolo non è di quelli destinati a cambiare la storia della musica, semmai quella di una classifica di Spotify di primavera.

A destra della grande sala che ospita la presentazione e dalla quale si accede direttamente ai “bracci”, c’è un pezzo del muro esterno di San Vittore, sul quale Ghali e i detenuti hanno disegnato un murales. Andrà all’asta e il ricavato in beneficenza, proprio al carcere. È colorato. Così come colorata è la cover del singolo, un’immagine che mette insieme Michael Jackson (di cui il rapper è grande ammiratore), un tramonto che prende fuoco, la prigione e la libertà. Per dirla alla Guccini, “il cielo là in prigione non è cielo” ma dai finestroni a vetro sul soffitto entra una discreta luce e la giornata, per i ragazzi di San Vittore, ha tutta l’aria di essere una di quelle di cui parleranno per un pezzo. Durante l’ora d’aria o una volta fuori, al sole, mentre cantano a un amico o un fratello o a qualcuno a cui vogliono bene “I Love You”. È la musica, bellezza.

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