Lo chiamano trekking urbano, oppure slow tour, che vuol dire semplicemente andarsene in giro in una città a piedi. Niente di nuovo, naturalmente, nessuna invenzione. Si cammina da quando si è conquistata la posizione eretta. Però sono nate associazioni per la riscoperta del piacere del camminare, organizzazioni, agenzie che suggeriscono itinerari e distribuiscono consigli. La regola principale è vagabondare senza l’ansia di dover vedere tutto.  Con l’obbiettivo di confondersi con la città in cui ci si trova. Cercando di essere, per un momento, un abitante. Magari illudendosi. Prima regola niente zainetto da turista che ti cataloga e ti fa appartenere al popolo degli zainetti e ti estrania dalla città. Che ci metteranno dentro quelli che lo usano? Un kit di sopravvivenza, razioni di cibo, indumenti per chissà quale evenienza improvvisa, telefono satellitare da due chili perché non si sa mai? Seconda regola accettare qualsiasi improvvisa voglia di cambiamento di programma. Perché magari conosci un abitante (perchè non hai lo zainetto che fa da barriera), che ti dà la dritta giusta. O sei attratto da una strada neppure citata dalla guida (che non esibisci, ma tieni ben nascosta in tasca). E non avere fretta, perché non è obbligatorio conoscere enciclopedicamente tutto di un luogo. Oppure sì, se a qualcuno piace, ma allora il trekking urbano non va bene. 

E poi si va. Funziona ovunque. Persino a Roma. L’immensa, complicatissima, intricata Roma. Che è fatta (se ci riferiamo alla suddivisione storica e non amministrativa) dei 22 rioni del centro storico, dei 35 quartieri che circondano il centro storico e i 6 suburbi appena oltre. Per un totale, Roma tutta, di 1.285 chilometri quadrati. Più grande è solo Londra (1.572 kmq), Parigi (105 kmq) e Milano (181 kmq) sono due piccoli borghi, al confronto.

Si parte da Trastevere. Perché Trastevere è Trastevere. Ha una sua storia, certo come tutti i rioni romani, ma ha quel sapore classico del vecchio quartiere storico nato quando le macchine non c’erano, vicoli stretti lastricati con sampietrini, aspetto medievale, labirinto di strade, qualche palazzo nobiliare, vecchie case di pescatori, niente condomini moderni. E’ l’Alfama di Lisbona, il quartiere Latino di Parigi, il Greenwich village di New York (anche se qui di medievale c’è poco), insomma dove devi vivere se fai l’intellettuale, l’artista, l’attore (tanti attori), lo scrittore generalmente non famoso. Insomma per il momento non famoso. Oggi il più frequentato dagli stranieri senza zainetto che si beano di confondersi con Roma. E si racconta che fin dai tempi di papa Sisto V che nel 1586 aveva diviso Roma in 14 rioni e aveva fatto lastricare i primi vicoli, fosse il più cosmopolita, già allora modernamente multietnico. Ha un popolo suo, fatto “anche” di romani. Non ce la fai a cenare in una trattoria senza sentire intorno a te una lingua diversa in ogni tavolo. Soprattutto l’inglese. Ai vecchi osti romani “je toccato imparà” pure l’inglese. Non tutti. Trastevere “è” la trattoria. Chiese, basiliche, oratori (una quarantina); biblioteche, botteghe e bottegucce (tante); dappertutto Smart e quelle auto minuscole senza patente che esistono oggi (a centinaia, sennò non circoli, in una piazzetta puoi contarne una decina incastrate come pezzi di un puzzle e un’arte ormai acquisita), e trattorie, trattorie. Una ogni angolo. Famose, celebrate, meno note, segrete, che ci vuole una dritta per conoscerle, a buon mercato, care, carissime, dove si mangia bene (quasi tutte), dove si mangia meno bene, dove l’oste è simpatico (quasi tutte) ma con un ambiente sempre piacevole. Che è anche un modo di vivere, la trattoria, un luogo di incontro. Magari più sano di una discoteca. Qui lo sballo lo fai con la pajata, o il cacio pepe o i carciofi alla giudia. Forse ti si intasano un poco le vene col colesterolo ma ti si apre la mente. D’estate è un casino perenne, non chiude mai. D’inverno la vita si placa, ma solo un un attimo. La mattina sui selciati di Sisto V, i resti di nottate spavalde, la mattina una task force di addetti del comune rimette il quartiere in sesto. Miracolosamente. Pronto per la giornata successiva. Insomma a metà tra il fascino e il degrado. Ma sembra un degrado “studiato”, una specie di stile casual voluto. Perfino gli scarabocchi fatti a spray dei writers, che praticamente non hanno risparmiato nessuna casa, nessuna facciata, portone, serranda e portoncino, anche con interventi sovrapposti tanto è completa la copertura colorata, fanno parte dell’atmosfera.

Ci si piazza qui, si traccia un cerchio con un raggio di poche centinaia di metri puntando il compasso in piazza Santa Maria in Trastevere per scegliere un albergo, un b&b, una locanda e poi si va. Il rione è sulla riva destra del Tevere, a sud del Vaticano ai piedi del Gianicolo. La tentazione è uscire e vagare senza meta, magari seguendo gli effluvi che gli osti trasteverini spargono nell’aria come pifferai di Hamelin. Si può fare ma se si vuol portare a casa un minimo bottino di immagini classiche conviene essere più ordinati. 

Ecco quindi tre itinerari per avere un assaggio  della gigantesca Roma.

Primo giorno. Trastevere. Prendi via del Moro, fiancheggiata appunto da botteghe, piccoli negozi, osterie, bar, fornerie e si arriva a Santa Maria in Trastevere, bella, grande piazza con la basilica su un lato, un palazzo sull’altra (il palazzo di San Callisto) e una fontana al centro. Naturalmente bar e trattorie. Stile e atmosfera trasteverina lungo via Lungaretta che porta a sant’Agata, la chiesa che custodisce la “madonna de’ noantri” patrona del rione. Attraversi viale Trastevere, continui per via Lungaretta fino a Piazza Piscinula dove c’è la chiesina di San Benedetto. Non ci va nessuno, neppure i giapponesi, ma è carina. Attraverso i vicoli si arriva alla basilica Santa Cecilia, con tanto di statua decollata e velata. Tappa successiva il Gianicolo, attraverso strade e stradette e una scalinata finale che arriva al “fontanone” che sarebbe la Fontana dell’Acqua Paola. Da sopra vista su tutta la città. Da fermarsi in meditazione il tempo necessario. Discesa verso il quartiere e si va a finire in via della Lungara dove trovi la villa della Farnesina (spettacolare), Palazzo Corsini e l’Orto Botanico. Lungo il Tevere c’è Regina Coeli. Otto chilometri, con salita, e tappe un po’ ovunque viste le tentazioni disseminate qua e là. Insomma tutto il giorno in giro.

Secondo giorno, la Roma monumentale. Si va in piazza Trilussa a ridosso del Lungotevere. C’è una fontana e il busto del poeta, e appena più in là Ponte Sisto, dal nome del solito papa. Che in realtà aveva ristrutturato un vecchio ponte della Roma antica. Da qui si intravede la sommità di San Pietro. Di notte molto suggestiva. Si attraversa, poi via Dei Pettinari per ritrovarsi in un antico percorso che portava alla villa di Pompeo. Rione Regola, si sfiora il Monte di Pietà e si va in via Dei Giubbonari che poi porta a Campo de’ Fiori. Che sarebbe il mercato. Tutti i giorni. Fiori, frutta, merce varia. Di notte luogo di festaioli. Tutte le notti. Ci hanno bruciato, ai tempi, Giordano Bruno, come ricorda una statua. Dall’altra parte via dei Giubbonari porta al Ghetto ebraico, dove ci sono la grande Sinagoga e il Portico d’Ottavia altro simbolo del Ghetto. Da qui si passa accanto ai resti del Teatro Marcello (dalle fattezze di un piccolo Colosseo ma è un teatro, l’unico teatro antico rimasto quasi in piedi a Roma) e poi i monumenti più celebri come il Campidoglio (ci lavora il sindaco di turno) presidiato dalla statua di Marco Aurelio a cavallo. Quindi l’Ara Coeli (Basilica di Santa Maria in Ara Coeli per essere esatti) e il Vittoriano cioè l’Altare della Patria l’imponente complesso dedicato a Vittorio Emanuele II appoggiato al colle del Campidoglio in piazza Venezia. Bisogna salire fino alla terrazza del Vittoriano per avere le spettacolare vista sui Fori imperiali e il Palatino.

E si comincia ad incontrare il popolo degli zainetti (qualcuno anche senza, però), i milioni di turisti di ogni colore e provenienza che ogni giorno calano sulla città e si assiepano intorno alle monumentali icone della città. I vicoli trasteverini hanno lasciato il posto alle grandi strade e al consueto traffico urbano, con una sorpresa: sembra sorprendentemente scorrevole. Insomma meno caotico di quel che ci si aspetta, rilassato rispetto alle città nordiche. Perché i romani sono così: rilassati. Forse non si innervosiscono neppure quando sono bloccati, lì sì che si formano ingorghi e blocchi, sul Grande Raccordo Anulare nelle ore di punta. Sarà il clima.

Quindi le tappe sono la Colonna e il Foro di Traiano, poi si imbocca via dei Fori Imperiali, lunga, diritta, maestosa, celebrativa (ce l’hanno scimmiottata gli americani con la Pennsylvania Avenue a Washington) che sfiora la parte archeologica, il Foro Romano e porta al Colosseo che compare piano piano mentre si cammina nella sua direzione. Passi l’Arco di Costantino, prendi via San Gregorio e arrivi al Circo Massimo. Appare come un piccolo Central Park, però totalmente spoglio, pensare che ci facevano persino le battaglie navali.

Poi tappa d’obbligo la basilica di Santa Maria in Cosmedin per infilare la mano, a volte dopo ore di coda, nella Bocca della Verità (i bugiardi si ritroveranno senza l’arto). Si ritrova il Tevere da seguire fino al ponte Fabricio il più antico di Roma e poi si arriva all’isola Tiberina, la sola isola urbanizzata del Tevere (ci hanno costruito gli ospedali). Ponte Cestio, e si segue il Tevere e si torna in Trastevere. Piazza G. Belli, lungotevere Raffaello Sanzio, e riecco Piazza Trilussa. Totale 10 chilometri, una dozzina se spendete due chilometri per girare intorni ai monumenti. Naturalmente da fare al ritmo di una passeggiata, mica a passo di marcia. In pratica ci si passa la giornata.

Terzo giorno, i luoghi d’obbligo. Ci vuole un terzo giorno a disposizione per aggiungere altre icone fondamentali: il Vaticano, Castel Sant’Angelo, Piazza del Popolo, Piazza di Spagna, Pantheon, Piazza Navona, fontana di Trevi. Partenza da Ponte Sisto e si imbocca la lunghissima (la più lunga di Roma) e molto snob via Giulia, affiancata da palazzi nobiliari e meno nobiliari. Comunque affascinanti. C’è persino la casa di Raffaello. Dopo il chilometro e passa di via Giulia il ponte Vittorio Emanuele II poi via della Conciliazione che porta a San Pietro. La basilica, il colonnato, la spianata, magari il Papa, lo spettacolo dei turisti (perfino musulmani), la coda per entrare nella chiesa.

Tappa successiva Castel Sant’Angelo, da fuori perché la visita all’interno richiederebbe un giorno intero. Ponte dell’Angelo e via dei Coronari, la strada degli antiquari. Il Chiostro del Bramante è d’obbligo poi attraverso via della Pace e via Tormellina sbuchi in piazza Navona. Probabilmente la piazza più bella di Roma, in origine era uno stadio da trentamila spettatori, lungo 200 metri e largo 106. Nel 1651 Bernini realizza il capolavoro della Fontana dei quattro fiumi. Da qui attraversi corso del Rinascimento per arrivare sfiorando palazzo Madama, il Senato, alla chiesa di san Luigi dei Francesi che custodisce ben tre Caravaggio. Attraverso via San Giustiniani si arriva al Pantheon grandioso tempi dedicato al culto di tutti gli dei.

Seguendo il fianco sinistro del Pantheon si arriva in piazza della Minerva, è qui un altro monument, stavolta piccolo, famoso: il “pulcino della Minerva”, un obelisco sostenuto da un elefante. Poi via del Corso, che congiunge piazza Venezia con Piazza del popolo. Lunga ma piacevole, piena di negozi, che porta a Montecitorio. Una deviazione verso il Tevere per vedere l’Ara Pacis e il Mausoleo di Augusto. Con via Ripetta si arriva a Piazza del Popolo. Da qui via del Babuino, Piazza di Spagna (con il contorno delle vie del lusso e della moda), Trinità dei Monti (la scalinata più famosa del mondo) e per piccole strade Fontana di Trevi. Da qui si può salire al Quirinale. E per tornare a Trastevere si torna in piazza Venezia, largo di Torre Argentina (i resti di quattro templi romani), via Vittorio Emanuele II e ci si ritrova in Campo de’ Fiori, piazza Farnese, e via Giulia, Ponte Sisto, Piazza Trilussa. E’ il trekking più lungo. Una quindicina di chilometri. Tappa dura. Non so se le regole del trekking urbano consentono, una volta ripartiti dal Quirinale, mediare su un taxi per tornare a Trastevere. Con relativo tassista caciarone. Sono tutti così. Ma fanno parte del folclore. Come le trattorie e gli osti.

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