Ogni volta mi faccio sorprendere dalla inconsueta freschezza con cui i miei nipoti elaborano una loro immagine del mondo, che acquisiscono attraverso una autentica “compressione” del trascorrere del tempo (sono istantaneamente in relazione con quanto accade ovunque). I battiti del loro orologio non sono identici a quelli del mio e me lo rivelano con le loro scoperte sulla natura, gli animali, le piante con cui convivono. Davvero hanno una percezione della loro presenza al mondo diversa da quella che avevo io alla loro età. So di affermare cose che ciascuno sperimenta, ma non vuole prendere in conto, fino a che si passa dall’osservazione del presente alle previsioni del futuro. Ci casco ogni volta, perché l’immagine che comunicano i miei nipoti ha quel carattere di novità che fa capire che tra la loro e la mia esperienza è passato del tempo: tanto più accelerato, quanto più ci si avvicina alla sensazione cosciente di un pianeta difficile da abitare da grandi.

Ho riprovato la stessa sensazione la mattina del 13 marzo in una affollata assemblea di studenti liceali in una grande sala di Busto Arsizio, in preparazione della mobilitazione di venerdì 15 marzo sul clima. Oltre trecento, attentissimi, nel ruolo di protagonisti, creativi nel loro esprimersi con video, cartelloni – persino una recita teatrale – e ben consci che per loro, al contrario che per me quando ero ragazzo, il tempo non si conta da qui in avanti, ma all’indietro: “Quanto manca a?” (al crescere del livello del mare oltre i frangiflutti che resistono da secoli, all’estendersi di zone aride anche nella fascia prealpina, all’indebolirsi del legame con il territorio già martoriato dall’inquinamento e reso inagibile alla mobilità proprio nelle ore in cui migliaia di auto, sempre più grandi e potenti, trasportano una mamma con un serbatoio di combustibile pieno ma con un solo bambino a bordo, verso i cancelli dell’istituto in cui andrà ad imparare…).

Questa generazione, con cui provo ad interagire parlando del clima e che frequenta la scuola con una facoltà di connessione attraverso la rete con tutte le fonti di informazione mai sperimentata fino ad ora, si sente dire che, se si continuerà a percorrere la strada dello sviluppo così come l’avevamo immaginata, al massimo avrà davanti a sé qualche nipote o pronipote, a meno che… E qui non c’è alcuna alzata di spalle. Anzi! Qualcuno ha detto: “Son passati 4 mesi da quando la totalità dei governi e delle genti del mondo ha saputo… non è cambiato nulla, nulla, ora tutti pensano a comprare il 5G e la crociera scontata del 70%… ma io fatico a dormire”. Riflessioni così autentiche e incontestate scuotono l’indifferenza che i negazionisti climatici cercano di imporci a qualsiasi costo. Anche quello di ritenere che non ci sia spazio per tutti sulla Terra e che rinchiudersi nei “nostri” territori, respingendo gli “invasori”, impedirebbe di diventare anche noi, prima o poi migranti a causa del precipitare del cambiamento climatico.

Ora che il negazionista per eccellenza, Donald Trump, è stato eletto presidente Usa ed è diventato il riferimento dei populisti identitari (alla globalizzazione contrappongono il localismo politico) di tutto il mondo, questi giovani rappresentano oggettivamente una novità. E’ significativo che, secondo un recente sondaggio, il 38% dei giovani Usa ritiene che si debbano considerare le conseguenze del riscaldamento del pianeta prima di decidere di fare figli. Se già oggi la crisi climatica presenta il conto di un modello insostenibile, lo scenario al 2050 si annuncia infatti catastrofico per chi allora sarà nel pieno della vita.

Mi sorprende allora questa lucidità che appartiene ai più giovani e capisco che la tempesta creata dallo scuotere di due treccine svedesi risolute non si placherà presto. La metafora delle conseguenze globali del battito d’ali di una farfalla sembra perfino misurato rispetto al possibile diffondersi del messaggio di Greta. Sul finire di un inverno insolitamente tiepido occorre chiedersi: l’Unione europea sarà in grado di fare la sua parte per contrastare il riscaldamento globale? Questa è la posta, forse la più importante, delle prossime elezioni, celata dalla gran parte dei media dietro l’inganno di regolare i conti ciascuno a casa propria, come se si potesse recintare il clima, che, per definizione, è questione sovranazionale! Stiamo cioè parlando dell’impegno dei governanti, di chi ci dovrebbe rappresentare, a diminuire l’emissione di anidride carbonica e altri gas a effetto serra rilasciati dalle centrali termiche, dai motori, dalle industrie, dai sistemi di trasporti, dai cementifici di tutto il continente. Di noi, della nostra economia e del nostro comportamento quotidiano, non delle paure che sono ad arte manipolate.

La mobilitazione dei giovani per incitare governi, ma anche famiglie ed amici, ad agire contro il cambiamento climatico conta tantissimo. Questo è stato detto e raccontato in una mattinata di riflessione comune in una provincia del Paese che si dà per assegnata ad una parte ben precisa nella stizzosa disputa tra i contraenti di un “contratto” che del clima non parla affatto. Anche per riflettere su questa distonia tra politica raccontata e società vissuta, ho voluto raccontare, quasi in diretta e con una modalità diversa da quella con cui ho sempre predisposto i miei post settimanali, un episodio che non resterà isolato – credo – dopo le manifestazioni del 15 marzo.

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