Non sono molti quelli che hanno trovato un lavoro che può dirsi lavoro. Gli altri sono disoccupati, sottoccupati, semioccupati, disoccupati parziali, stagionali, venditori ambulanti. Il vocabolario della civiltà industriale dice che questa è un’integrazione. Infatti, l’immigrato fa quasi parte del paesaggio. Dove andrà questa gente? Loro non lo sanno ma noi sì: a ingrossare l’esercito dei sottoproletari necessari al sistema. A aumentare la massa dei lavoratori fluttuanti, degli abbassatori di tariffe sindacali, dei crumiri. La città lo sa, la stampa lo sa ma non sempre lo dice.

Con queste parole vengono descritti gli immigrati in un documentario di Lino Del Fra trasmesso dalla Rai, proiettato a Venezia e conservato negli archivi dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico. Un documentario del 1962. La pellicola racconta gli immigrati che dal Sud d’Italia arrivavano a Milano a bordo della Fata Morgana: “Il treno dei terroni”.

Mai previsione fu meno azzeccata. Quegli immigrati che dovevano abbassare le tariffe sindacali dei lavoratori accettando impieghi sottopagati, saltuari, stagionali, hanno invece ottenuto paghe migliori e diritti sindacali per tutti.

Nel 1962, gli stipendi dei lavoratori italiani erano tra i più bassi in Europa. E questo non per la crescente presenza degli immigrati, presenti in massa soprattutto altrove – Belgio, Svizzera, Francia e Germania dove gli stipendi erano altri e le tutele maggiori – ma per l’assenza di leggi che garantissero ai lavoratori il diritto di avanzare rivendicazioni e, di conseguenza, di ottenere migliori condizioni di lavoro, retribuzioni più alte, turni meno spossanti, ambienti di lavoro meno insalubri.

Otto anni più tardi, grazie alle lotte della più imponente massa di lavoratori immigrati che il Nord Italia avesse mai visto (“invasione” è una parola che andava parecchio di moda per descrivere l’ondata migratoria), tutti i lavoratori italiani hanno conquistato lo Statuto dei Lavoratori: la più significativa normativa a tutela dei diritti dei lavoratori nella storia dell’italia repubblicana. L’articolo più celebre, Articolo 18, stabiliva il divieto di licenziare ingiustamente un lavoratore, sia pur solo nelle aziende con più di 15 dipendenti (motivo per cui il Pci, certo dell’approvazione del provvedimento, si astenne dal voto protestando per il mancato riconoscimento del diritto al reintegro per tutti i lavoratori).

È così che i salari sono cresciuti e l’esodo dei lavoratori italiani verso la Germania e il Belgio si è fermato. Prima, se uno osava chiedere un aumento, veniva licenziato.

Il provvedimento è dovuto all’opera di un sindacalista, il ministro socialista del Lavoro Giacomo Brodolini, che morì prima dell’approvazione dello Statuto (ma dopo essersi prodigato per la riforma della previdenza e per l’abolizione della gabbie salariali, il sistema di paghe differenziate che costringevano a stipendi da fame i lavoratori delle aree più depresse del Paese).

Alla morte di Brodolini, che aveva affidato a Gino Giugni la guida della commissione incaricata di redigere il testo, a battersi per l’approvazione è stato un altro sindacalista, il successore Carlo Donat Cattin, ministro Dc e sindacalista della Cisl a Torino.

Lo Statuto è però – come ogni legge che determina un avanzamento delle condizioni dei lavoratori – frutto delle lotte dei lavoratori stessi. L’anno che precede l’approvazione è costellato di scioperi, cortei, proteste, sabotaggi. Nei mesi passati alla storia come Autunno Caldo, a Milano e Torino, nelle grandi città industriali del Nord dove tanti giovani erano emigrati in cerca di lavoro e lo avevano trovato in catena di montaggio, gli operai hanno bloccato le fabbriche e sfilato per le strade. Cinque milioni di lavoratori si sono sollevati per rivendicare migliori condizioni di lavoro e il rinnovo di 32 contratti collettivi.

Erano principalmente lavoratori immigrati. Grazie alle lotte di quegli immigrati che avrebbero dovuto abbassarci i salari e renderci tutti più poveri e insicuri, abbiamo ottenuto il diritto a non essere ingiustamente licenziati, il diritto alla rappresentanza sindacale, il diritto alla previdenza e alla pensione e quello di essere curati dal Sistema Sanitario Nazionale, istituito nel 1978.

Fino a quando, in tempi recenti, non ci siamo lasciati spogliare di quei diritti da una serie di ministri che si sono accreditati come di destra o di centro-destra o di centro-sinistra o tecnici o “né di destra né di sinistra” e insomma tutto tranne che di sinistra e che hanno approvato i medesimi provvedimenti.

Ministri che hanno smontato una a una le conquiste di quella massa di lavoratori immigrati attraverso una serie di colpi mortali inferti allo Statuto dei Lavoratori e vani e reiterati tentativi di modifiche attraverso i referendum.

Tutti ministri del Nord (toh!) che hanno reso legale il lavoro precario e sottopagato tanto in voga prima dell’approvazione dello Statuto e lo hanno fatto con metodo attraverso l’invenzione dei contratti interinali, somministrati, subordinati, a progetto, di collaborazione, attraverso le finte partite Iva e decine di altri contratti “atipici” che diventavano sempre più “tipici”, nel senso di consueti e diffusi. Ministri che hanno aumentato l’età pensionabile e eliminato le tutele previste dall’Articolo 18 dopo aver cancellato il diritto del lavoratore a essere reintegrato in caso di licenziamento illegittimo, un diritto che Monti e Fornero e i partiti che hanno votato a favore dei loro provvedimenti  – da Forza Italia di berlusconi al Pd di Bersani – hanno deciso di sostituire con un magro indennizzo economico. Berlusconi, Maroni, Sacconi, Monti, Fornero, Renzi, Poletti. Tutti ministri e presidenti del Consiglio che non erano immigrati e che hanno cancellato i diritti conquistati dagli immigrati per tutti i lavoratori.

I lavoratori che ho visto lottare con più tenacia e coraggio per conquistare e riconquistare quei diritti, ieri come oggi, sono gli immigrati. In Fiat, nell’industria alimentare, nell’inferno dei magazzini della logistica. Ieri i baresi, i sardi, i napoletani, oggi i senegalesi, i somali, i nigeriani, gli egiziani che, proprio come gli immigrati del 1962, vengono accusati di peggiorare le nostre condizioni di lavoro da quegli stessi politici del Nord che hanno approvato e sostenuto le leggi che hanno reso legale lo sfruttamento dei lavoratori, determinando in questo modo il peggioramento delle nostre condizioni di lavoro: peggiorate non sulla spinta dei flussi migratori ma delle riforme suggerite da Confindustria.

Non sono stati “gli immigrati” a chiedere e  a votare il Jobs Act o i Voucher di Renzi e Poletti, abrogati grazie alla mobilitazione della Cgil e prontamente ripristinati da questo governo (Salvini era contrario all’abrogazione dei voucher già nella precedente legislatura “Renzi ha fatto anche cose buone”. E, grazie al sempre accondiscendente ministro del lavoro Di Maio, si è affrettato a reinserirli come gli chiedeva di fare Confindustria).

Domanda: sarà un caso che i politici che tuonano contro gli immigrati e fino a pochi anni fa contro i terroni, primi “colpevoli” di immigrazione, sono gli stessi che si fanno dettare le leggi dai ricchi industriali e i trattati commerciali dalle multinazionali? Sarà un caso che a chiudere i porti ai lavoratori siano gli stessi politici che spalancano le porte ai ricchi evasori? Sarà un caso che questi politici – Berlusconi, Renzi, Fornero, Salvini, Di Maio – si trovino sempre concordi nell’approvare leggi liberticide che sanzionano le mobilitazioni, nel negare autorizzazioni ai cortei e vietare gli scioperi? Sarà un caso che parlino con una sola voce nell’attaccare i sindacati, comprimere le libertà sindacali, tuonare contro i privilegi dei sindacalisti concedendo però privilegi ai datori di lavoro come gli sgravi fiscali e la Flat Tax? Sarà mica che questi politici sanno quel che tutti i libri di storia insegnano: che gli immigrati sono quelli che più si battono per i diritti dei lavoratori, che grazie a loro avevamo ottenuto l’articolo 18 che Fornero e Renzi hanno eliminato e che Salvini e Di Maio si rifiutano di ripristinare? Sarà mica che sanno che per i lavoratori gli immigrati non sono un nemico ma un alleato, non sono il problema ma la soluzione? Sarà mica per questo che evitino di farli arrivare e di farceli incontrare, tenendoli lontani dalle città e dai luoghi di lavoro?

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