“Quando sono partito per gli Stati Uniti ero un po’ spaventato. Ma è normale per un’esperienza così importante. Una volta arrivato a Boston, però, non ho avuto nemmeno il tempo di avere paura. I ritmi erano molto veloci e dovevo imparare tutto in fretta”. Da quattro anni Giuseppe Lofano, 32enne di Conversano in provincia di Bari, vive negli States e fa il ricercatore. Dopo un periodo trascorso a Boston, da meno di un anno lavora a Washington D.C. per una multinazionale farmaceutica. “Mi occupo dello sviluppo di nuovi vaccini, offrendo il mio supporto scientifico su progetti interni di ricerca e sviluppo e aiutando a valutare opportunità di business esterne per la company”. Un lavoro di grande responsabilità che Giuseppe ha provato, sin dagli anni successivi alla laurea, a cercare in Italia, senza riuscirci. Laureato in Biotecnologie farmaceutiche all’università La Sapienza di Roma, ha fatto l’Erasmus a Parigi. “È stata un’esperienza fantastica. Era la prima volta che vivevo all’estero, non sapevo da dove cominciare anche perché avevo solo 21 anni. Mi ricordo che dopo dieci giorni, non riuscendo a trovare casa, avevo deciso di lasciar perdere e tornare. Ma sono rimasto, ho lavorato, mi sono divertito, ho imparato tanto”.

L’esperienza a Parigi diventa fondamentale per Giuseppe, al punto che dopo la laurea pensa di fare anche il dottorato all’estero. “Ero appassionato di immunologia applicata ai vaccini. Così cercai il posto migliore per il dottorato, ma scoprì che uno degli istituti di vaccinologia più prestigiosi al mondo si trovava proprio in Italia, a Siena. Feci domanda e fui accettato”. Durante il dottorato Giuseppe studia il meccanismo di azione dei vaccini, cercando di capire perché alcuni sono più potenti di altri.

Scoprii che uno degli istituti di vaccinologia più prestigiosi al mondo si trovava proprio in Italia, a Siena. Feci domanda e fui accettato

Finiti gli studi arriva il momento di lavorare. “Dopo il dottorato – racconta – cominciai a cercare lavoro in Italia senza particolare successo. Ma un giorno, alla fine di una conferenza, mi capitò di parlare dei risultati delle mie ricerche ad alcuni professori della Harvard Medical School di Boston, una delle università più importanti al mondo. Questi si mostrarono molto interessati e mi offrirono la possibilità di raggiungerli per continuare le mie ricerche sui vaccini”. E così Giuseppe entra in un team di ricercatori che sta cercando di sviluppare un vaccino contro l’Hiv. “Era un sogno che si avverava. Mi sembrava la migliore occasione del mondo, ma ero molto combattuto, perché volevo restare in Italia. Sono stati i miei genitori a incoraggiarmi a partire. Non li ringrazierò mai abbastanza per avermi sostenuto nel trovare la mia strada”.

Occuparsi di Hiv ad Harvard non tradisce le aspettative e diventa una delle esperienze più formative per il giovane ricercatore pugliese. “Ricordo che una mattina ero andato in ospedale per ritirare dei campioni da analizzare. Mentre aspettavo una collega, incontrai dei pazienti in sala d’attesa e ci mettemmo a chiacchierare. Spiegai loro che mi occupavo di scienza, che studiavo il sistema immunitario di alcuni pazienti infetti da Hiv e che con i miei dati aiutavo a disegnare il vaccino contro questa malattia. Quando ci salutammo una signora mi disse: “I’m Hiv positive. God bless you“. (Sono HIV positiva. Che Dio ti benedica). Rimasi spiazzato. Mi emozionai, pensando che con il mio lavoro avrei potuto, e posso, contribuire a salvare la vita di molte persone”.

Nonostante i successi e le tante soddisfazioni a stelle e strisce, Giuseppe pensa sempre all’Italia e alla sua amata terra: “Non voglio stare in Usa, voglio tornare in Italia, la domanda è: quando?”. Al momento l’ipotesi di rientrare e continuare a fare ricerca come in America sembra lontana. Per ora Giuseppe resta a Washington, in attesa di poter tornare dalla sua famiglia e dai suoi amici. “L’Italia – dice – è un paese bellissimo, con tante risorse a partire dai moltissimi talenti che spesso hanno difficoltà a trovare opportunità di crescita. Uno degli aspetti più belli della vita negli Usa è la sensazione, spesso reale, di avere tante opportunità, soprattutto se si è giovani. La certezza che se fai bene il tuo lavoro, prima o poi, ottieni ciò che vuoi. Avere questa sensazione spesso è più importante dell’opportunità stessa, perché ti senti sempre motivato ad andare avanti”. E aggiunge: “La crescita personale e professionale per noi giovani deve essere un obiettivo da raggiungere in con entusiasmo e determinazione, ovunque. Andare all’estero non dovrebbe essere una scelta obbligata ma solo un’opzione dettata dalle proprie passioni”.

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