“Mi alleno con il gruppo da tempo. Miglioramenti? Senz’altro: già il fatto di stare insieme conta. Sa, si pensa spesso di rimanere a casa: e invece muoversi, con la nostra malattia, fa sempre bene”. Renato ha 66 anni ed è un ex dirigente sportivo. È molto timido e riservato. Non aveva mai parlato prima della sua malattia in pubblico. Ci ha messo un anno e mezzo per unirsi al gruppo, ma ora c’è, ed è una presenza costante. Si chiama Rock Steady Boxing, la palestra si trova a Como ed è il primo progetto in Italia (e in Europa) per combattere il morbo di Parkinson con l’esercizio fisico. E i guantoni da boxe.

Tutto è nato nel 2014 grazie a Tiberio Roda, originario di Como, per anni imprenditore di successo in una famiglia di imprenditori. Poi è arrivata la malattia. Quando ha avuto la diagnosi di Parkinson ha subito detto: “Dottore, se questa è una gara, la vinco io”, ricorda. In rete ha trovato informazioni sul metodo nato negli Usa nel 2006, ha scritto una mail e ha subito deciso di provare: ha preso lezioni private con il maestro Enrico Milazzo, è andato negli States, è diventato coach. Lo segue Paola Roncareggi, ex pallavolista e sua compagna. È nato così, a Ponte Lambro, 4313 abitanti nell’alta Brianza, Rock Steady Boxing Como Lake, una delle 741 palestre al mondo a promuovere la boxe senza contatto per combattere i sintomi della malattia di Parkinson. Ad oggi non esiste una cura per la malattia di Parkinson, ma i benefici di chi partecipa al programma sono evidenti, in tutti gli stadi. L’allenamento proposto da Paola e Tiberio si compone di un’ora e mezza di esercizi da fare tre volte a settimana: il martedì, il giovedì e il sabato.

Tanti i benefici: c’è chi ha ricominciato a viaggiare, sentendosi più sicuro, e chi ha ripreso la passione della 500 e va ai raduni

Grazie alla boxe senza contatto si sono avuti parecchi miglioramenti, e concreti. C’è chi ha ricominciato a viaggiare e a fare weekend fuori porta con la famiglia, sentendosi più sicuro in mezzo agli altri; c’è chi ha ripreso la passione della 500 e spesso va a raduni o eventi sociali con la sua auto fiammante; c’è Francesco, 59 anni, che ha cominciato gli allenamenti in palestra ad ottobre del 2018 e grazie agli esercizi coi guantoni è riuscito a trovare finalmente un beneficio: “Facciamo esercizi in terra, addominali, scioglimento dei muscoli e poi la boxe vera con sacchi, ma senza contatto fisico – racconta emozionato al telefono –. Miglioramenti? Sì, riesco a combattere di più la malattia, nella postura, nei movimenti, con la respirazione. Si rilassano i nervi e il corpo”.

Paola e Tiberio hanno cercato di diffondere il metodo in Italia: “È un lavoro di semina quotidiano, purtroppo siamo ancora un Paese frammentato”, spiega l’ex pallavolista. “Qui c’è molto interesse per la malattia, anche se l’approccio generale è legato alle soluzioni classiche, al farmaco che risolva tutto. Eppure il morbo ha così tanti rivoli che sarà davvero difficile trovare a breve un farmaco di questo tipo”, spiega Tiberio. Lo Stato potrebbe fare qualcosa di più per aiutare i malati? “A volte mi chiedo se sarebbe meglio un unico coordinamento statale, piuttosto che la pletora di associazioni e organizzazioni che trattano di Parkinson – continua – ma credo che lasciare la libertà di azione ai privati sia una risorsa. Forse lo Stato dovrebbe essere più proattivo nell’indirizzare i malati verso una attività fisica più mirata, nell’attesa che arrivi una nuova cura”.

L’approccio generale è legato alle soluzioni classiche, al farmaco che risolva tutto. Eppure il morbo ha così tanti rivoli che sarà difficile trovare a breve un farmaco di questo tipo

Qual è stata e qual è la reazione del territorio? Supporto, indifferenza, sostegno economico? “Tiberio ed io non siamo persone che si lasciano influenzare troppo da un riscontro o un mancato riscontro”, risponde Paola. Se la stampa locale ha sempre dato ampio spazio, all’inizio “le istituzioni non sono arrivate – continua –. Col tempo ci sono stati poi gli inviti, i primi sostegni, la progettualità comune con le altre associazioni, sia locali che nazionali”.

Gli obiettivi raggiunti sono tanti. Quelli per il futuro molti: tra le sfide previste nel 2019, ad esempio, c’è un trekking in Sicilia, dal 20 al 30 giugno, un vero e proprio pellegrinaggio dedicato ai pugili speciali. I momenti più belli? “Posso assicurare che da quando ho il Parkinson ho conosciuto le persone migliori. Sono quelli che si danno da fare per gli altri: è molto bello sentirsi voluti bene. Compensa i deficit portati dalla malattia”, risponde Tiberio. Ci sono pugili che sono arrivati in palestra nel 2014 con il morale a terra: “Oggi sono i migliori del gruppo e ci aiutano con l’esempio a dare coraggio agli altri”, sorride. La boxe senza contatto dà una speranza a chi vuole aiutarsi a star meglio, da subito. “La ricerca deve andare avanti – conclude – Ma nel frattempo che si fa?”.

Articolo Precedente

Roma, il nuovo regolamento di polizia urbana. Tutti i divieti: dalla musica ai panni stesi

next