“Ogni volta che scendevo dal treno mi trovavo davanti un cartelloneBenvenuti a Bonn, la città delle Nazioni Unite. Così, quando è stato il momento di cercare un lavoro, mi è venuto naturale bussare a quella porta”. Mattia Cerutti, 28enne di Gambara, piccolo centro della bassa bresciana, lavora in Germania ormai da tre anni. È consulente dell’Uncdd, la convenzione Onu per la lotta alla desertificazione che ha sede proprio a Bonn. Lì Mattia ha trascorso in Erasmus l’ultimo anno di studi, subito prima di laurearsi in biotecnologie vegetali e agroambientali alla Statale di Milano. Già allora, nel 2015, aveva capito che il suo futuro non sarebbe stato in Italia. “Parlando con i compagni di università, mi accorgevo di come non fossero affatto preoccupati per il post-laurea”, racconta. “Davano per scontato che investendo tanti anni nello studio avrebbero trovato un lavoro pagato il giusto. Qualcosa di naturale. Peccato che da noi non lo sia affatto”. Così Mattia inizia a inviare applications un po’ ovunque, tranne che in Italia. Sfruttando l’esperienza accumulata lavorando alla tesi – dedicata allo studio di un gene che permette ad alcune piante di sopravvivere a lungo senz’acqua – si candida per un posto di tirocinante all’Uncdd, vincendolo. “Due giorni dopo essermi laureato a Milano, ero pronto a iniziare il nuovo lavoro”, ricorda. “Da allora non mi sono più spostato da qui. Ma non mi considero un cervello in fuga: semplicemente, non ho mai limitato il mio campo d’azione ad un solo Paese. Nei prossimi anni mi piacerebbe lavorare da qualche altra parte, e poi, chissà, magari ritornare. Ma quello è un piano a lungo termine”, ammette.

Davano per scontato che investendo tanti anni nello studio avrebbero trovato un lavoro pagato il giusto. Ma in Italia questa cosa non è naturale

Dopo i sei mesi di tirocinio (“non pagato”, ci tiene a specificare: neanche all’Onu è tutto rose e fiori) Mattia viene assunto come consulente della Convenzione. Il suo compito è aiutare i Paesi in via di sviluppo a elaborare piani per mitigare e prevenire gli effetti della siccità, in collaborazione con le istituzioni locali. Da allora è andato avanti con contratti a termine, rinnovati di anno in anno: “Ma non mi sono mai sentito precario”, spiega. “Qui il lavoro si vive in modo più elastico che in Italia: nessuno ha il dogma del tempo indeterminato, perché anche in caso di mancato rinnovo per le professioni specializzate trovare un nuovo impiego è estremamente facile. Fin da subito, poi, ho avuto uno stipendio più alto di quello a cui avrei potuto aspirare a casa: e il bello è che, per gli standard tedeschi, non è affatto alto”. L’aspetto più stimolante, racconta, è l’aria di melting pot che può respirare sul luogo di lavoro: “Forse non esiste un ambiente più internazionale di questo, perché ognuno dei 193 Stati membri dell’Onu dev’essere rappresentato in agenzie e convenzioni. Significa lavorare ogni giorno insieme a colleghi da ogni parte del globo. Certo, significa anche un ambiente molto competitivo, e non sempre si tratta di competizione sana. Ma, personalmente, entro ogni mattina al lavoro col sorriso”. Tanto che il sogno è quello di vincere il Jpo, il concorso per funzionari under 30 che la Farnesina bandisce ogni anno, entrando così nell’organizzazione in pianta stabile. “Per due anni di fila mi sono candidato e sono arrivato secondo, sfiorando l’ingresso all’Unep, il programma ambientale delle Nazioni Unite. Spero che il prossimo sia quello buono”.

Un giorno sono sicuro che tornerò, anche se non riesco a immaginare di farlo a breve

In Germania ormai Mattia si sente a casa propria, anche nella vita quotidiana. “Dopo l’Erasmus sono scappato da Bonn e adesso abito a Colonia, che è molto più bella e dista meno di mezz’ora. Sul lavoro parlo inglese e spagnolo, ma negli anni ho imparato un buon tedesco: diciamo che posso parlare di tutto, biotecnologie escluse”, scherza. Nei rapporti con i locali, Mattia ha notato una certa differenza di atteggiamento in base all’età: “C’è poco da fare, gli anziani tedeschi sono insopportabili. Diffidenti, di mentalità chiusa, si sentono sempre un gradino sopra gli altri. I miei coetanei, invece, sono diversi: si vede che sono abituati a pensare outside the box, come si dice in inglese. Hanno viaggiato, si sentono europei, è molto più facile averci a che fare”. E lui, da giovane europeo, si è appassionato alla politica del Paese che lo ospita: “Quando sotto i gazebo dell’Afd (Alternative für Deutschland, il partito tedesco di estrema destra, ndr) ho visto anche gli under 30 mi sono spaventato. Ai governi di Angela Merkel va riconosciuto di aver regalato al Paese una stabilità che ora è messa fortemente in discussione. Qui c’è un sistema di welfare formidabile, anche grazie a tutti i rifugiati che sono stati accolti negli ultimi anni: si può dire che i giovani siriani stiano pagando le pensioni ai tedeschi, che sono un popolo molto anziano, come noi”.

Per quanto emigrato soddisfatto, però, Mattia non fa parte del gruppo dei denigratori dell’Italia. “Non parlerò mai male del mio Paese, perché lo amo profondamente – dice -. E ho il massimo rispetto per chi resta: non credo che da noi essere felici e realizzati sia impossibile, credo solo che sia molto più difficile. Un giorno sono sicuro che tornerò, anche se non riesco a immaginare di farlo a breve. Peraltro, anche se ora mi occupo di politiche di sviluppo, la mia vera passione è la botanica, e in particolare le specie mediterranee. Da piccolo, invece dei giocattoli, chiedevo a Santa Lucia le piante di bergamotto e di lentisco. Quando ne avrò i mezzi, mi piacerebbe dedicarmi all’estrazione dei loro oli essenziali. E di certo non lo posso fare a Bonn, fa troppo freddo”.

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