Ho avuto la pessima idea, molti anni fa, di prendere una laurea in Filosofia. Pessima non solo per le conseguenze sul mio futuro professionale, ma anche perché mi è toccato sopportare negli anni a seguire l’insostenibile retorica del filosofo che piace alle imprese, del filosofo versatile che grazie al suo acume teorico può lavorare in più settori. Altro che ingegneri o economisti.

Retorica insopportabile perché, sempre in tutti questi anni, non ho praticamente mai trovato un annuncio di lavoro dove fosse richiesta la laurea in Filosofia. Un gran peccato perché, anche se tornando indietro sceglierei senza dubbio una laurea professionalizzante, sono convinta che i laureati in Filosofia abbiano il più delle volte una profondità di pensiero, una capacità analitica, un’abilità di pensare in maniera sistemica e globale che pochi altri laureati hanno. E infatti altrove li prendono, ma non in Italia.

Sono perciò saltata sulla sedia quando ho letto quali fossero le lauree necessarie secondo il governo per diventare “navigator”, una definizione che già da sola basta a screditare l’intera operazione, tanto ridicolo è usare un nome inglese in questo frangente (“siedi il bambino” approvato dalla Crusca è nulla in confronto a questo utilizzo continuo dell’inglese da veri semianalfabeti). Ma chi sono i navigator? Trattasi di persone che, per fare una sintesi, devono trovare un lavoro a chi percepisce il reddito di cittadinanza. Nelle notizie circolate finora le lauree previste sono:

1. Economia: forse, mi chiedo, perché devono conoscere il mercato economico italiano?
2. Ma poi anche Giurisprudenza: forse, mi chiedo, perché occorre essere avvocati specializzati in diritto del lavoro?
3. E ancora, Psicologia: forse, mi chiedo, perché il punto è accrescere la motivazione di chi cerca lavoro?

Se fin qui la scelta poteva essere anche semicomprensibile – anche se ogni laurea in realtà porta con sé competenze totalmente diverse e in ogni caso il bando non richiede specializzazioni in determinati ambiti, come ad esempio la psicologia del lavoro – lo stupore è arrivato dopo: Scienze politiche, Sociologia, Scienze della formazione (che è la laurea che serve soprattutto per insegnare nelle scuole elementari).

Cerco avanti, senz’altro ci sarà Filosofia, e anche Lettere. Invece nulla. Filosofia e Lettere sono tagliate fuori: decine di migliaia di persone indegne di fare domanda per un lavoro al quale potevano ambire esattamente come colleghi sociologi o laureati in politica internazionale.

L’incredulità continua quando leggo quale dovrebbe essere la formazione specifica del presunto navigator: e cioè, come ha detto il presidente uscente di Anpal Maurizio del Conte, “conoscere le regole, e cioè benefici, incentivi e sussidi di disoccupazione, con le differenze messe in campo a livello regionale e territoriale, avere conoscenza tecnica e giuridica precisa, avere capacità anche di orientatore e valutatore delle competenze professionali di chi si presenta allo sportello, in modo tale da realizzare un bilancio delle competenze del disoccupato. Ed essere capace di leggere come si muove il mercato territorialmente, essendo così in grado di incrociare domanda e offerta di lavoro, andando a incrociare le imprese con i beneficiari del reddito di cittadinanza”. Tutte competenze per le quali non esiste alcuna laurea specifica e per le quali, dunque, sono necessari corsi di formazione. Che dovrebbero essere pubblici e fatti in tempi rapidi, visto che si è già scatenata la corsa alla formazione a pagamento.

Ma tornando al punto: perché hanno escluso Filosofia (e Lettere)? La motivazione secondo me è semplice ed è insieme grottesca e inquietante. La scelta delle lauree, questa è l’impressione, è stata fatta a casaccio. Via Lettere e Filosofia, perché si dava troppo l’idea di una cosa umanistica, mentre qui l’immagine che si vuole dare è di efficienza, concretezza, filosofia-del-fare e quei titoli puzzano troppo di libresco e stantio. Altrettanto irreale, ovviamente, l’esclusione di altri tipi di lauree, tra cui Ingegneria, o che ne so, Fisica o altre lauree diverse, ad esempio Scienze della comunicazione.

Forse per le prime la scelta è stata dettata banalmente dal fatto che, sotto sotto, chi ha scelto avrà pensato che questi laureati un lavoro ce l’hanno, visto che con l’assunzione dei navigator si vuole anche dare lavoro a migliaia di precari o semidisoccupati. Ma anche, probabilmente, dalla volontà di trasmettere alla gente l’idea che si prendano persone che masticano questioni sociali ed economiche (ma allora che c’azzecca Scienze della formazione? Forse non sanno di che si tratta, l’hanno scambiata per altro).

Insomma i sociologi sì, i filosofi magari laureati in filosofia sociale no. I futuri insegnanti di scuola primaria sì, i fisici nucleari no, gli psicologi che si occupano magari solo di infanzia sì, il laureato in comunicazione digitale no,  mentre chi vuole diventare diplomatico sì. Scelte senza senso, che ti fanno immaginare i vari team, chiamiamoli così, di super esperti con la Guida dello studente davanti, intenti a sfogliare l’offerta formativa e puntare il dito un po’ dove capita. Molto meglio, e molto più coerente, sarebbe stato dare l’accesso a tutti i laureati, previo magari corso di formazione professionale su sui temi specifici di cui sopra.

D’altronde, non è chiaro a nessuno cosa queste persone dovrebbero fare: se cercare di tirare su il disoccupato, controllando al tempo stesso che non si lasci andare sul divano e seguendolo passo passo in tutte le sue giornate (ruolo per cui sarebbe andato bene pure un poliziotto con un po’ di empatia, o qualsiasi persona con un po’ di tempo libero). Oppure aiutare il disoccupato a scrivere il cv, migliorarlo, indirizzarlo verso eventuali corsi di formazione, cosa in realtà impossibile perché il reddito di cittadinanza non è compatibile, come accade in altri Paesi, con la possibilità di riqualificarsi a livello formativo, premessa per un lavoro che funzioni davvero.

Oppure darsi da fare per trovare davvero un lavoro al disoccupato, compito arduo che richiede la conoscenza dettagliata del mercato del lavoro regionale e nazionale ma anche, si suppone, la possibilità di avvalersi di strumenti e database già esistenti. In qualsiasi caso, qualunque laurea andrebbe bene. E chissà, forse qualsiasi diploma, anche se la scelta di prendere laureati per un compito così delicato mi sembra abbastanza giusta: in fondo la capacità di analisi, la profondità di pensiero, la cultura aiutano. Ecco, appunto. Chissà perché, dunque, escludere i filosofi.

Filosofi, letterati e altri, siete interessati a una petizione comune scrivetemi a elisabetta.ambrosi@gmail.com

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