“Se i poliziotti non possono usare le manette per fermare un violento, ditemi cosa dovrebbero fare, rispondere con cappuccio e brioches?”. Per il ministro dell’Interno Matteo Salvini non hanno fatto nulla di sbagliato gli agenti che hanno ammanettato Arafet Arfaoui, il 32enne tunisino colto da un malore e morto dopo essere stato fermato in seguito a un controllo della polizia nel centro di Empoli. “Hanno ammanettato un violento, un pregiudicato, che, purtroppo, poi è stato colto da arresto cardiaco”, ha ricordato il vicepremier leghista in diretta facebook.

Intanto l’episodio è finito al centro di uno scambio di accuse tra l’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi, e il capo della polizia Franco Gabrielli.

“Per lo Stato i morti sono danni collaterali tollerabili”, ha detto il difensore delle famiglie di vittime di abusi da parte delle forze dell’ordine. Per Gabrielli si tratta di “farneticazioni del tribuno di turno”, “affermazioni avventate che alimentano solo posizioni estreme”. “Io rispetto le vittime e i loro familiari – ha detto Gabrielli – chiedo che analogo rispetto sia riferito ad uomini e donne che lavorano per riaffermare le legalità. Se qualcuno ha sbagliato – ha concluso il capo della polizia – pagherà per un giusto processo e non per le farneticazioni del tribuno di turno”.

La replica di Gabrielli è arrivata dopo che Anselmo, in un’intervista all’Adnkronos, aveva duramente criticato l’operato delle forze dell’ordine. “Passano gli anni, la memoria e lo sgomento per questi fatti difficili da comprendere si scolorisce e gli esiti purtroppo di questi ultimi tempi sono sempre uguali: il fatto non costituisce reato” ha detto l’avvocato, che si è occupato tra gli altri dei casi Cucchi e Aldrovandi. Poi la provocazione: “Se vogliamo dire che è giusto così, prendiamone atto ma smettiamo anche di stupirci e di indignarci, consideriamo queste morti come danni collaterali che il nostro ordinamento giudiziario dimostra di voler considerare tollerabili o giustificabili”. A sentire Anselmo, “le versioni giornalistiche sono sempre le stesse, sono sempre uguali, persone che fino a quel momento non erano certamente folli, improvvisamente vengono portate via in luoghi chiusi, danno in escandescenze, si autolesionano e muoiono ammanettate e con i piedi legati. Le storie sono sempre quelle – ha spiegato – sono gli esiti giudiziari di questi ultimi tempi che stanno cambiando, evidentemente adeguandosi al clima politico attuale“.

Il legale subito dopo ha spiegato meglio il suo riferimento agli “esiti giudiziari”: “Si parla di colposo e si finisce alla sezione quarta della Cassazione e il fatto non costituisce reato” ha sottolineato, ricordando che “Magherini è stato compresso al suolo e colpito a calci, i poliziotti non sono medici, è stato detto, e quindi non potevano accorgersi che stava morendo. Bernardino Budroni – ha aggiunto – è stato ucciso da un colpo di arma da fuoco quando la sua auto era praticamente ferma e ora stiamo assistendo a un altro giudizio. Allora aspettiamo il prossimo”. “La differenza la può fare la giustizia e lo Stato se ha voglia di processare se stesso, lo sta facendo per Cucchi non lo ha fatto per Magherini” ha aggiunto Anselmo, prima di precisare che “sicuramente qualche atto di autolesionismo ci può stare ma noi in Italia abbiamo un record. Io non voglio criminalizzare nessuno, però”. Lo stesso legale, dopo le parole di Gabrielli, è tornato sulla questione e ha aggiunto: “Ho avuto modo di incontrare personalmente il capo della polizia Gabrielli e di apprezzarne l’equilibrio e l’umanità. Sono rimasto sorpreso dalle parole pronunciate nei miei confronti che francamente non ritengo di meritare. Da sempre mi occupo di diritti civili e diritti umani e sono stato insignito per ben due volte del premio Borsellino per le mie battaglie di legalità”. L’avvocato  ha poi sottolineato che “il rispetto per il capo della Polizia rimane del tutto immutato”. “Non ho certo la presunzione di volere esser un tribuno – ha concluso – ma sono consapevole di essere solo un modesto avvocato di provincia, l’unica posizione estrema che mi si può addebitare è quella dell’amore per il rispetto del principio che la legge deve essere uguale per tutti e tutti devono essere uguali davanti alla legge”

Prima dello scambio di accuse tra Anselmo e Gabrielli, sempre sulla morte del 32enne tunisino a Empoli era intervenuta anche Ilaria Cucchi, sorella di Stefano: “Dava in escandescenza? Questi fatti sono tutti uguali e sappiamo già come andrà a finire. La quarta sezione della Cassazione dirà che non c’è nessun colpevole” ha detto. In merito alle ricostruzioni di quanto accaduto, da cui emerge che l’uomo sarebbe morto per arresto cardiocircolatorio, Ilaria Cucchi ha sottolineato: “Come Magherini“. Sulla stessa linea d’onda il parere di Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi: “È sempre la stessa storia che si ripete, non ci sono mai elementi veramente chiari, ci sono sempre le versioni ufficiali e poi continua ad accadere purtroppo – ha detto – Noi speriamo sempre di non dover commentare fatti analoghi, che quello che è già successo possa servire per il futuro e invece. Che questo tipo di fermi porta alla morte delle persone – ha aggiunto Patrizia Moretti – è una valutazione tecnica: anche i manuali delle scuole di polizia insegnano a non uccidere la gente poi però continua a succedere”. “Mi ricordo che al processo avevano intervistato alcuni insegnanti, che dicevano nei loro testi che i fermi delle persone in posizioni di schiacciamento, che impediscono quindi di respirare, portano alla morte ma questo lo sanno tutti – ha spiegato la madre di Aldrovandi – È assodato. Allora o la formazione non è fatta così come ci viene indicato, e quindi gli agenti non sono formati adeguatamente, oppure sanno quello che fanno ma lo fanno lo stesso. È avvilente“.

“Esprimo solidarietà, vicinanza e fiducia ai colleghi che hanno operato nel rispetto dei protocolli, tant’è che è stato fatto avvicinare anche un medico poiché l’uomo, di origine tunisina ma cittadino italiano, si trovava in uno stato estremamente confusionale, ed era aggressivo. Abbiamo piena fiducia nella magistratura. Aspettiamo che l’autorità giudiziaria faccia il suo iter a dimostrazione della legittimità e della correttezza dell’operato dei nostri colleghi”. Così Felice Romano, segretario generale del Siulp, che ha espresso “vicinanza alla famiglia della vittima e dispiacere per questo tragico fatto”. Quando muore una persona, ha spiegato, “ritengo che abbiamo perso tutti, perché vuol dire che lo Stato, in tutte le sue sfaccettature, non è riuscito a garantire il bene supremo: vita, sicurezza e libertà dei cittadini”. Poi l’appello a seguito di testimonianze che hanno suscitato polemiche: “Queste testimonianze più da tifo che di supporto alla verità e legalità – ha detto Romano – non aiutano nessuno, tantomeno le persone che operano ogni giorno in condizioni estreme. E comunque non aiutano il clima di fiducia e di serenità che dovrebbe esserci tra cittadini e operatori delle forze del’ordine”. “Se i colleghi avessero avuto il taser, come noi chiediamo da tempo, è vero che non si possono avere certezze di un epilogo diverso, ma sicuramente ci sarebbero state meno ombre, dal momento che non ci sarebbe stato contatto tra gli operatori e il cittadino” ha concluso Romano.

Nel frattempo, proseguono gli interrogatori condotti dalla squadra mobile di Firenze: in tutto tra ieri e oggi ascoltate o da sentire quindici persone tra poliziotti, medici e sanitari del 118 e testimoni. Per il momento il fascicolo per omicidio colposo aperto dalla procura resta a carico di ignoti. I quattro agenti di polizia intervenuti per bloccare Arfaoui, dopo che aveva dato in escandescenze, sono stati interrogati ieri in procura negli uffici della pm Christine Von Borries, titolare delle indagini. Le loro versioni, secondo quanto si apprende, sarebbero concordanti e al momento non sarebbero emersi elementi che facciano pensare a evidenti irregolarità nel loro comportamento e in quello tenuto dai soccorritori. L’assenza di condotte palesemente scorrette sarebbe confermata anche da una prima visione dei filmati girati dalle telecamere interne al money transfer e da quelle in strada, che tuttavia nei prossimi giorni saranno visionati anche da un consulente nominato dalla procura.

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