Ogni anno smaltivano almeno 3.000 tonnellate di rifiuti metallici. Questi poi finivano in una rete di aziende fittizie gestite da residenti nei campi rom della periferia della Capitale. E da lì via ai roghi tossici e allo scarico degli scarti nelle discariche abusive, mentre il materiale recuperato entrava in un giro illecito di ricettazione e truffe alle assicurazioni attraverso la riparazione “in economia” delle vetture di ignari clienti. In una parola, il sistema cardine che ha contribuito a creare, negli anni la “terra dei fuochi di Roma Est e che ora, grazie al lavoro della Procura di Roma e dei Carabinieri Forestali, ora ha subito un duro colpo ed ha per lo meno un precedente importante. Ci sono un autodemolitore del quartiere Gordiani di Roma – nel quadrante est della città – e due autoricambi al centro dell’associazione a delinquere che questa mattina che ha portato a 15 arresti (6 in carcere e 9 ai domiciliari) e in totale a 57 indagati. Fra questi anche un sovrintendente capo della Questura di Roma, a quanto pare cliente “consapevole” dello sfasciacarrozze sequestrato dai magistrati. Almeno 12 fra gli indagati sono di origine bosniaca e residenti nel campo “tollerato” di via Salviati, nel quartiere Tor Sapienza.

IL CICLO ILLEGALE: DAI ROGHI TOSSICI ALLA RICETTAZIONE, E RITORNO – Al centro delle indagini, la Mcr srl intestata fino al 2015 a Rocco Lupoli e poi passata di mano al figlio Salvatore. Solo nel 2016, la società di demolizione aveva acquistato dalle imprese fittizie gestite dai bosniaci materiale per circa 440.000 euro, che poi rivendeva “a un prezzo superiore a quello di acquisto”. L’organizzazione dei riciclatori abusivi aveva messo in piedi una rete di ben 25 autocarri, tale da poter gestire una mole ingente di rifiuti. Questi venivano recuperati nei cassonetti oppure ritirati direttamente “conto terzi”, in violazione delle norme previste per l’iscrizione all’Anga – albo cui i soggetti indagati facevano regolarmente parte – che prevedeva solo il trasporto e lo smaltimento privato. Una volta ottenuto il materiale riciclato illecitamente, la società di autodemolizione lo rivendeva agli autoricambi.

Due, in particolare, sono finiti nel mirino degli inquirenti: la Stat Auto srl di via della Zampogna e la Romana Ricambi srl di via di Tor Cervara. Da qui si è aperto un ulteriore filone di indagine, che ha accertato attività quali il riciclaggio di autovetture rubate e la truffa alle assicurazioni. Il modus operandi era sempre lo stesso. Venivano individuati il veicolo e il soggetto che ne aveva disponibilità, la vettura veniva acquistata (o noleggiata) e poi ne veniva denunciato il furto; a quel punto si procedeva allo smontaggio delle varie componenti e al suo occultamento, con la conseguente rivendita dei pezzi “anche a persone straniere che li destinavano a mercati esteri” e smaltimento della scocca e del materiale ferroso, “attraverso la collaborazione della Mcs srl che provvedeva allo schiacciamento finale della scocca e all’invio alle acciaierie per la definitiva distruzione”.

LA BATTAGLIA ISTITUZIONALE – Il tema delle attività illecite degli autodemolitori è da tempo all’attenzione degli inquirenti nella capitale, a cominciare dalla Polizia Locale che da anni effettua controlli a tappeto ed eleva singole multe, specialmente ai trasportatori rom. E almeno dal 2013 gli stessi sono al centro di una querelle politica, con il Campidoglio che da tempo vuole spostarli fuori dal Grande Raccordo Anulare, anche per via del disastro ecologico che in alcune aree – come quella del Parco Archeologico di Centocelle – cui alcuni di loro hanno contribuito. L’attuale sindaca Virginia Raggi, ereditando il fascicolo da Ignazio Marino, il 30 maggio 2018 ha imposto un’accelerazione alla revoca delle autorizzazioni e “scaricando” la responsabilità sulla Regione Lazio. Al momento, tuttavia, il Comune non ha ancora trovato delle aree adeguate dove far trasferire le imprese di autodemolizione, così quelle a cui e’ stata revocata l’autorizzazione continuano ad operare da “abusivi”. Con tutto ciò che ne consegue.

IL RIFERIMENTO “A PIAZZA VENEZIA” – A quanto fa sapere il Campidoglio, la Mcr era una delle imprese “revocate”, tanto che Salvatore Lupoli, il 27 dicembre scorso, su Facebook ha postato il link a una notizia che parlava del sit-in effettuato dagli autodemolitori sotto la sede della Regione Lazio. A quanto si evince dalle carte firmate dal gip Francesco Patrone, in realtà, gli sfasciacarrozze un riferimento “a Piazza Venezia” – quindi al Campidoglio – ce l’avevano. Dall’attività di intercettazione, si evince che Lupoli parlasse, nel gennaio 2017, direttamente con il responsabile autodemolitori del Dipartimento Tutela Ambiente del Comune di Roma (non risulta indagato). L’obiettivo era ottenere le autorizzazioni ambientali e urbanistiche necessarie ad andare oltre la proroga, in scadenza il 30.06.2017, ed evitare la delocalizzazione. Secondo i magistrati, fu lo stesso funzionario capitolino a individuare “un valido tecnico del settore” cui affidare la pratica per “sanare il procedimento amministrativo autorizzatorio dell’area di destinazione dove opera la Mcr”.

IL DIRIGENTE DI POLIZIA INDAGATO – Coinvolto nelle indagini, come detto anche il sovrintendente capo della Questura di Roma, Nunzio Ferlazzo. Agli inquirenti risulta che il dirigente di Polizia abbia prima consegnato “per lo smontaggio” la sua Mercedes Classe C alla Stat Auto srl e poi ne abbia denunciato il furto, cosi’ da “conseguire dalla compagnia assicurativa Genialloyd la somma di 3.300 euro”. Una denuncia “totalmente falsa”.

Nella situazione documentata dagli investigatori si percepisce una certa conoscenza fra Ferlazzo e i gestori della Stat Auto, Salvatore Amendola e Gennaro Terranova. “Ferlazzo – si legge – prendeva in giro Amendola raccomandandogli di fare attenzione poiché rischiava di essere arrestato, ‘… no perché te se bevono!’, l’altro rispondeva effettuando un gesto scaramantico, ‘a me? Me gratto li coglioni’, e rimarcando di non avere alcun timore delle conseguenze esclamava ‘ringraziando Cristo posso sta proprio tranquillo e in grazia de Dio’”.

E ancora: “Ferlazzo si vantava di avere 36 anni di servizio, “ma famo lavora’ l’altro mo eh, daje nun e’ per cattiveria aho’ a settembre so 36, a settembre so 36, e dai no mai basta, ahò annassarreo a fanculo’ e alla domanda di Amendola su che grado avesse l’altro rispondeva ‘Maresciallo Capo’”. “La circostanza – si legge – che il Ferlazzo si sia rivolto direttamente alla Stat Auto srl per ottenere un preciso servizio (l’occultamento e dispersione del veicolo di cui intendeva denunciare il furto) costituisce sicuro indice della circostanza che lo specifico know-how della predetta società era noto nel settore”.

Foto di archivio

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