Dici meteorologo e ti viene subito in mente il colonnello Giuliacci, o un altro ufficiale dell’aeronautica in piedi davanti a una mappa con le sagomine del sole e delle nubi. Anche Andrea è un meteorologo, ma non porta la divisa militare, non lavora in tv e non controlla correnti e precipitazioni sulla nostra penisola, ma sull’isola di Bermuda. Andrea Pedrini ha 29 anni ed è originario di Senigallia. Ha studiato a Bologna, ma per esercitare il suo mestiere è dovuto andare prima in Inghilterra, poi nel bel mezzo dell’Atlantico, dove vive con la fidanzata Serena, di Forlì. “In Italia il meteo è quasi associato all’oroscopo, la gente lo prende come un’indicazione vaga su come sarà la giornata. Ma la meteorologia va al di là dell’utilizzo pratico delle previsioni dell’app”. Una materia complessa che si applica e si intreccia all’economia, all’agricoltura, ai trasporti, alla salute e alla sicurezza delle persone, soprattutto in un momento così delicato per via dei cambiamenti climatici in corso.

Andrea si è laureato in Fisica dell’Atmosfera e Meteorologia, corso chiuso dopo qualche anno con la riforma Gelmini per lo scarso numero di iscritti. “Era un percorso poco conosciuto, ma la chiusura della facoltà ha affossato ancora di più la materia”. Dopo la laurea ha cominciato a guardarsi intorno e a cercare lavoro. “Volevo capire se con la laurea magistrale potessi avere più sbocchi, ma vedevo che anche i colleghi della specialistica facevano fatica a lavorare. Allora ho deciso di fare il salto e partire. A Reading c’è la scuola migliore di meteorologia, costosa sì, ma sicuramente hai una strada già segnata, la formazione è indirizzata all’inserimento nel mondo del lavoro. Ho fatto la tesi sulla squadra di vela inglese impegnata nella Coppa America, che poi mi ha richiamato chiedendomi di proseguire il progetto. Praticamente ho messo piede fuori dall’università e il giorno dopo ho cominciato a lavorare. Anche il periodo di formazione era retribuito”.

Ho messo piede fuori dall’università e il giorno dopo ho cominciato a lavorare. Anche il periodo di formazione era retribuito

In Italia non esiste un servizio meteo nazionale, come lo hanno tutti gli altri Paesi europei. Se ne occupano l’aeronautica militare e la protezione civile, che lavora soprattutto sulle emergenze e sulle allerte. “Se n’è parlato per molti anni, ma è ancora un progetto vago, nonostante il nostro Paese sia esposto ad alcuni rischi meteorologi, come alluvioni e siccità. In Italia esistono anche dei servizi meteorologici specifici, ma sono ancora una nicchia”. E pensare che invece questa scienza è nata proprio da noi, con le intuizioni di Leonardo e di Galilei, e l’invenzione del barometro di Torricelli. “Siamo stati pionieri, ma dobbiamo aggiornarci e tenere il passo con il resto del mondo”. Il problema è anche culturale, cioè di come il mestiere viene percepito: “La meteorologia non è una materia valorizzata. Un ragazzo che voglia intraprendere questa professione non saprebbe da dove cominciare”.

Nonostante ciò, o forse proprio per questo, Andrea vorrebbe tornare a lavorare in Italia: “Mi piacerebbe mettere a disposizione del mio Paese quello che ho imparato all’estero. Ma so già che dovrei ripartire da zero, e forse cambiare mestiere. Io qui ho potuto fare il lavoro per cui ho studiato, non è scontato”. La sua fidanzata, Serena, ha sempre lavorato nel settore della moda, facendo la spola tra Italia e Inghilterra: “Come qualità accademica non ci batte nessuno, ma poi non c’è collegamento con il mondo del lavoro. Entrambi vorremmo tornare a casa, ma tornare significa accontentarsi di quello che c’è, quando c’è, magari non attinente ai nostri percorsi. La gavetta dobbiamo farla tutti, ma in Italia ci sono meno occasioni per dimostrare chi sei e cosa sai fare”. Ci pensa su e aggiunge: “Qui si sta bene ma comunque l’Italia…è l’Italia”.

Io qui ho potuto fare il lavoro per cui ho studiato, non è scontato

Perciò, soprattutto con la Brexit nell’aria, l’idea era quella di riavvicinarsi a casa. Ma nel frattempo arriva una chiamata dalle Bermuda. Cose da sapere: in realtà il nome corretto è isole Bermude, plurale, perché si tratta di un arcipelago, con capitale Hamilton, ancora territorio d’oltremare della corona inglese. “La squadra di vela britannica si trovava lì per la Coppa America, c’è stato un giro di contatti e hanno fatto il mio nome”. Nel frattempo Andrea aveva cominciato a lavorare per una multinazionale che fornisce servizi meteorologici specifici alle industrie energetiche e di trasporti. “Spesso mi sono trovato a fare dei lavori per società italiane, un paradosso”. L’offerta è allettante, così i due fidanzati si trasferiscono nella fascia subtropicale del pianeta, tra spiagge da cartolina e rischio uragani dietro l’angolo. Bisogna imparare a gestire eventi potenzialmente catastrofici, perciò Andrea ha dovuto fare un periodo di formazione a Miami presso il NOAA, l’agenzia federale degli Stati Uniti che monitora atmosfera e oceani. “Era tutto a spese della compagnia, ed ero il primo italiano ad entrare nel corso: una bella soddisfazione”.

Ora Andrea lavora in un team internazionale: “Sono stato accolto con grandissima professionalità, ho imparato molto, hanno scommesso su di me e sono molto grato ai miei manager“. Bermuda ha il più alto costo della vita al mondo, è “la Svizzera dell’Oceano Atlantico”: un paradiso naturalistico, ma anche fiscale. “Parliamo di un’isola piccolissima, poco più di sessantamila abitanti e nessuna università“. Una comunità grande come Cosenza ma in mezzo al mare, isolata da tutto: “Per strada ti salutano tutti, come nei paesini – spiega divertita Serena -. In molti settori il governo ha bisogno di “importare” forza lavoro altamente specializzata. Ci sono anche tanti expat italiani, soprattutto di Capri, che lavorano nella ristorazione o nell’import-export”.

Ogni tanto Andrea viene invitato dai suoi ex professori a parlare nelle scuole: “Il mio consiglio è di essere sempre curiosi e di non avere paura del fallimento: siamo un popolo creativo, abbiamo dimostrato di saper fare grandi cose e all’estero il nostro lavoro viene sempre apprezzato. Io venivo dalla provincia, mai mi sarei aspettato di finire qui: ma nella vita si cambia”.

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