Ci troviamo spettatori di video visti da milioni di persone, virali, che mostrano il privato di individui, alcuni molto noti, tra matrimoni, gravidanze su Instagram, liti in streaming eccetera, come anche di persone “qualunque” che postano un po’ di tutto, per libera scelta, così pare, sui social. Vivono tra la foto della colazione e il post sulla passeggiata al parco con il cane, tra un tweet e una chat di Facebook. Persino l’imbarazzante è postato, in un ossimoro psichico che rende pubblico quel che in teoria genera vergogna e magari così serve a esorcizzarlo.

A parte il pensiero che mi ha sfiorata tante volte sulla quantità di tempo che ci vuole per fare tutto questo e di cui ad esempio io non dispongo, credo inutile demonizzare il fenomeno: esiste, coinvolge milioni di persone e fa parte della nostra realtà, dunque schierarsi con l’inquisizione dei social che li vorrebbe abolire mi pare quantomeno desueto. Un buon punto potrebbe essere chiedersi che senso ha.

Per fare le cose per bene secondo le prassi del web, era irrinunciabile il giretto in Wikipedia che alla voce influencer recita: individuo con più o meno ampio seguito di pubblico che ha la capacità di influenzare i comportamenti di acquisto dei consumatori.

Dunque mi pare chiaro l’intento di chi fa l’influencer di professione: è un lavoro come un altro, serve per guadagnare denaro. La logica è che più un post è virale, più è probabile che influenzi persone e farà guadagnare. Se l’intento è il guadagno, questo conta più dei contenuti, ovvero non importa cosa posti: potresti postare anche la peggior figura, la più bieca interazione, la sbronza, il litigio, l’imbarazzante situazione, purché la guardino, e più la guardano e più guadagnerai, soprattutto se la tua notorietà è già un po’ consolidata.

Questa legge del purché se ne parli, vecchia come il mondo o almeno da quando esistono i mezzi di comunicazione, mi pare anche scontata e obbedisce alla ancor più pragmatica legge della domanda e dell’offerta, perché è chiaro che se nessuno guardasse quei video, il guadagno che ne deriverebbe sarebbe nullo e il castello dell’investimento che l’influencer fa su di sé cadrebbe.

In fondo l’influencer è influenced da chi a sua volta influenza. È che chi si fa influenzare magari non lo sa o magari non gliene importa nulla, perché è più importante la soddisfazione di un bisogno troppo grande, che è quello di sognare. Alla gente piacciono i sogni, ama vedere che l’ideale perfetto dei belli, ricchi e felici esiste; come poi ama godere della loro disfatta. Siamo fatti così, dagli spettacoli dei gladiatori in poi. Una ricerca ha mostrato che quando i tifosi vanno allo stadio ci vanno per godere dell’odio che provano per la squadra avversaria, come anche per eccitarsi per il loro campione.

E allora? Nulla di nuovo sotto il sole, soltanto gladiatori moderni per moderne folle. Con un particolare nuovo: il web è più democratico per certi versi. Chiunque, anche il più banale e ignoto di quei cosiddetti consumatori, può provare a fare il gladiatore ed esporsi al pubblico ludibrio o al pubblico plauso, soltanto facendo un video di come si pulisce le gengive col filo interdentale. Et voilà, se diventa virale, il gioco è fatto. Almeno fino al prossimo post. L’intento non è il solo guadagno di denaro, ma anche di immagine, di notorietà.

Allora la questione più profonda riguarda la relazione che abbiamo con le immagini di noi stessi. Anche nel test di Rorschach c’è la tavola dell’immagine che diamo di noi al mondo e dell’immagine interna del sé, e spesso l’inconscio dà risposte diverse. Noi viviamo con noi stessi e la coscienza è l’esserci che ci guarda mentre beviamo il caffè, camminiamo e così via. Un sentire di noi che ci vede dentro, mentre gli occhi si proiettano sull’esterno.

Se le immagini esterne prevalgono sulla visione interna, crediamo di esistere solo in base al racconto di noi che facciamo agli altri (purché mettano il like). Così non ci siamo più, per questo l’ansia e il vuoto sono così diffusi oggi: perché se esisti più nell’immagine esterna che in quella interna, stai male. Scappi dallo stare con te, che è l’unica cosa che conta. Condividere tutto significa perderlo perché non appena postato è già morto. Tenerlo dentro è come farne la gravidanza, lasciare che ti trasformi man mano che lo vivi. Per questo qualche cosa di noi si può condividere, ma la più parte no. Neanche il più virale dei post potrà mai sottrarci allo stare con noi stessi, da soli, e vale per tutti, influencer e influenced.

RIVOLUZIONE YOUTUBER

di Andrea Amato e Matteo Maffucci 14€ Acquista
Articolo Precedente

‘Uno vale uno’ è un concetto meraviglioso. Ma senza competenze e merito crolla tutto

next
Articolo Successivo

Gioco d’azzardo, quella del governo è una buona legge. Ma non vale per chi cerca l’autodistruzione

next