Al di là delle strumentali polemiche politiche sul caso Carige, il vice-presidente del Consiglio Luigi Di Maio ha perfettamente regione su un punto fondamentale: in Italia abbiamo bisogno come l’acqua di una banca pubblica di sviluppo, ovvero di una banca la cui attività creditizia sia indirizzata non solo al profitto ma al finanziamento di progetti infrastrutturali e produttivi di carattere strategico e di particolare importanza per lo sviluppo economico e sociale. Nessuno Stato ha mai superato la crisi, e in particolare le crisi bancarie, senza un intervento pubblico. La banca pubblica o semi-pubblica avrebbe un ruolo indispensabile per lo sviluppo, che non può mai essere assicurato esclusivamente dalle banche private. Queste per loro natura mirano innanzitutto al profitto di breve termine. Le banche private non hanno strutturalmente l’obiettivo di servire l’interesse nazionale, ma hanno come scopo quello di “creare valore” per i padroni della banca, ovvero per gli azionisti. Alle banche commerciali si può solo chiedere e imporre che rispettino le leggi e che tutelino pienamente le persone che gli affidano i risparmi.

Tuttavia se una banca è in difficoltà, in tutto il mondo, lo Stato è sempre intervenuto come “salvatore di ultima istanza”. Così è stato persino nei paesi ultra-liberisti come Usa e Gran Bretagna, o in Svezia e Germania dove le banche private sono state tutte salvate e in parte (temporaneamente) nazionalizzate con i soldi – anche centinaia di miliardi – dello Stato. Su questo non ci piove: è interesse dello Stato e dei cittadini che le banche non vadano in rovina e che i risparmiatori siano garantiti, come prevede la Costituzione.

La differenza di prospettiva politica sulle banche tra il Pd di Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan (certamente il peggior ministro dell’Economia che l’Italia abbia mai avuto!) è tutta qui: c’è chi, come Padoan, ha salvato una banca, Mps, con i soldi dei contribuenti, male e in ritardo (e quindi spendendo troppi soldi) dopo che la banca era praticamente già quasi fallita; c’è invece chi, come oggi 5stelle e Lega, impiega in maniera anticipata i soldi dello Stato per non fare fallire la banca Carige.

C’è una bella differenza! C’è chi (Padoan) ha invocato inutilmente e fine all’ultimo l’intervento della grande J. P. Morgan per salvare Mps, demonizzando scioccamente l’intervento dello Stato; c’è invece chi, prima del possibile fallimento di Carige, interviene con le garanzie di Stato per proteggere una banca che costituisce un elemento determinante per un tessuto produttivo e sociale in enorme difficoltà, come quello genovese e ligure.

Certamente diventerà indispensabile che l’intervento del governo giallo-verde non regali poi soldi agli azionisti privati e non salvi quei dirigenti e manager che si fossero dimostrati incapaci o magari malfattori; il governo deve invece salvaguardare i risparmiatori e chi nella banca ha investito in buona fede. Ma ripeto: Di Maio ha ragione soprattutto quando dice che occorre creare anche in Italia una banca pubblica. Questo naturalmente non significa che Carige sia l’istituto più giusto per diventare una banca d’interesse nazionale. Ho in effetti i miei dubbi che possa essere così.

In Italia la principale candidata a essere una vera e propria banca di sviluppo è la Cassa Depositi e Prestiti guidata dall’ad Fabrizio Palermo e dal presidente Massimo Tononi, di proprietà del Tesoro italiano per l’83% e delle fondazioni bancarie per il 16%. In Germania e in Francia le banche pubbliche sono già un tassello fondamentale del sistema bancario e dello sviluppo orizzontale e territoriale del Paese, soprattutto per le piccole e medie imprese. Per esempio il Kfw è una banca di sviluppo di proprietà della Repubblica federale di Germania (70%) e degli Stati tedeschi (Lander, 30%). Kfw è la terza banca più grande della Germania con circa 500 miliardi di attivo. In Francia c’è la Caisse des dépôts et consignations, in Spagna l’Instituto De Crédito Oficial, ambedue di proprietà interamente pubblica.

La Cassa Depositi e Prestiti (che peraltro non è una banca, perché non raccoglie i depositi dei clienti privati) si finanzia al 90% attraverso i libretti e i buoni fruttiferi postali raccolti da Poste italiane attraverso la rete di sportelli presenti sul territorio. Cdp ha un attivo di 420 miliardi e ha concesso prestiti ai clienti per 108 miliardi, con un utile netto di 2,9 miliardi: è tra i primi cinque istituti finanziari del Paese, insieme a giganti come Intesa, Unicredit e Generali, e può giocare un ruolo fondamentale per lo sviluppo nazionale. Essendo una società per azioni con capitale misto, i suoi debiti non sono conteggiati nel debito di Stato, e quindi non è soggetta ai vincoli dell’Eurozona sul debito pubblico. Può facilmente finanziarsi sul mercato a tassi di interesse molto bassi o presso la Bce a tassi praticamente pari a zero.

In teoria Cdp potrebbe perfino salvare lo Stato italiano contrastando le possibili future speculazioni e crisi sul debito pubblico, acquistando (magari in concerto con altre banche pubbliche o semi-pubbliche, come Mps o magari anche Carige) i titoli di Stato che il governo non riuscisse a vendere sul mercato. Ma il ruolo di Cdp deve ancora essere definito dal governo attuale, tenendo comunque sempre in conto che l’istituto semi-pubblico non può avventurarsi in operazioni fallimentari o in ardite speculazioni finanziarie, perché metterebbe a rischio i soldi dei piccoli risparmiatori delle Poste.

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