Otto condanne e 7 assoluzioni nel processo di primo grado per la strage del bus che il 28 luglio 2013 precipitò da un viadotto dell’A16 vicino ad Avellino. La pena massima è stata di 12 anni di carcere e sono stati ritenuti colpevoli anche 6 funzionari di Autostrade, condannata a risarcire i parenti delle vittime, mentre è stato assolto l’ad della concessionaria, Giovanni Castelucci. Lo ha stabilito il giudice monocratico del Tribunale di Avellino, Luigi Buono, pronunciando la sentenza per il pullman precipitato dal viadotto Acqualonga dell’A16 Napoli-Canosa, all’altezza del comune di Monteforte Irpino, in provincia di Avellino, che provocò la morte di 40 persone. Dopo la lettura del dispositivo, in aula è scoppiata l’ira dei famigliari delle vittime.

Il verdetto
Per il titolare dell’azienda che gestiva il bus, Gennaro Lametta, il giudice Buono ha stabilito una pena di 12 anni, come richiesto dall’accusa. Otto anni invece per la dipendente della Motorizzazione civile di Napoli, Antonietta Ceriola, a fronte di una richiesta di 9 anni. Sei anni di reclusione, invece, ai dirigenti di Autostrade, Gianluca De Franceschi e Nicola Spadavecchia. Paolo Berti e Gianni Marrone, il primo direttore di tronco di Autostrade e il secondo dipendente della concessionaria, sono stati condannati a 5 anni e 6 mesi. Ritenuti colpevoli anche altri due dipendenti di Aspi, Michele Renzi e Bruno Gerardi, condannati a 5 anni. Assolti invece, oltre a Castellucci, il dg di Autostrade, Riccardo Mollo, e i dipendenti Michele Maietta, Massimo Fornaci, Marco Perna e Antonio Sorrentino. Per tutti gli uomini di Autostrade la richiesta di pena della procura di Avellino era stata di 10 anni di reclusione. Sentenza di non colpevolezza è stata emessa anche nei confronti di un altro funzionario della Motorizzazione civile, Vittorio Saulino, per il quale l’accusa aveva avanzato una richiesta a 6 anni e 6 mesi.

Proteste in aula, intervengono carabinieri
“Hanno messo fuori un assassino. Ha vinto il dio denaro”, hanno urlato i famigliari delle vittime in aula in riferimento all’assoluzione dell’amministratore delegato. I parenti, molti dei quali in lacrime, hanno anche provato anche a sbarrare le porte dell’aula per non far uscire nessuno e i carabinieri hanno faticato a contenerli: chiedono al giudice di uscire dalla camera di consiglio e spiegare la non colpevolezza di Castellucci, che la difesa aveva ricordato essere imputato per una “presunta irregolarità amministrativa nell’applicazione della delibera assunta nel 2008 dal consiglio d’amministrazione”. 

(Video di OttoChannel, canale 696 Tv)

Cosa accadde quella notte
I turisti tornavano a casa da una gita di alcuni giorni a Telese Terme (Benevento) e nei luoghi di Padre Pio, a Pietrelcina. Erano partiti da Pozzuoli (Napoli) con il bus della stessa agenzia alla quale si erano già rivolti per organizzare spiccioli di vacanza in comune e a buon prezzo, 150 euro a persona tutto compreso, e con la quale avevano già programmato un nuovo viaggio al santuario mariano di Medjugorje. Lungo la discesa dell’A16 Napoli-Canosa, nel territorio di Monteforte Irpino (Avellino) il bus guidato da Ciro Lametta, fratello del proprietario dell’agenzia Mondo Travel che aveva organizzato il viaggio, cominciò a sbandare dopo aver perso sulla carreggiata il giunto cardanico che garantisce il funzionamento dell’impianto frenante. Dopo aver percorso un chilometro senza freni, ondeggiando a destra e sinistra, tamponando le auto, una quindicina, che trovava sul percorso, il bus nel tentativo di frenare la corsa si affiancò alle barriere protettive del viadotto “Acqualonga” che cedettero facendolo precipitare nel vuoto da un’altezza di 40 metri.

“Solo incidente stradale con barriere ok”
Il perito del giudice ha sostenuto nella sua analisi che la strage si sarebbe potuta evitare e “derubricare in grave incidente stradale se solo le barriere fossero state tenute in perfetto stato di conservazione”. Autostrade per l’Italia però non avrebbe adempiuto a quest’obbligo. Altrimenti la traiettoria impazzita del vecchio pulmino turistico, dovuta alla rottura dell’impianto frenante – e poi si scoprirà che il certificato di revisione del veicolo era, secondo l’accusa, fasullo – avrebbe avuto un altro esito, il mezzo “sarebbe stato concretamente trattenuto in carreggiata, fino al suo arresto definitivo”, scrisse il perito Felice Giuliani, docente di Ingegneria delle Infrastrutture a Parma.

Le accuse dei pm
Così, durante la requisitoria, il procuratore capo di Avellino, Rosario Cantelmo, aveva chiesto ai giudici “una sentenza giusta, che non consenta a nessuno di farla franca” perché “nulla” di quanto accaduto nel luglio di sei anni fa si sarebbe verificato “se Autostrade avesse semplicemente adempiuto al suo dovere contrattuale”. In sostanza, stando alla ricostruzione dell’accusa, non ci sarebbe stata nessuna strage se fossero state “compiute con osservanza le attività previste in concessione”.

“Lauti guadagni, no manutenzione”
Cantelmo aveva anche sottolineato in alcuni passaggi del suo intervento il preminente interesse al profitto di una società che “nonostante i lauti guadagni derivanti dal pedaggio che pagano i cittadini, non ha inteso provvedere alla manutenzione delle barriere del viadotto” e aveva censurato la linea difensiva degli imputati che “hanno scelto il negazionismo: nel rimpallo di competenze e responsabilità, nessuno sapeva niente di Acqualonga”.

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