Cinema

Suspiria, il remake di Guadagnino “è bellissimo”. Anzi no, “è orribile”. Ecco come la critica ha accolto la pellicola (che non convince al botteghino)

Dopo una settimana di programmazione nelle sale italiane Suspiria ha raccolto 712mila euro d’incassi. Per rimanere nell’area d’essai è una cifra non proprio da strabuzzare gli occhi, anzi. Vice, uscito oltretutto tre giorni dopo, ha fatto quasi lo stesso incasso (692mila), mentre Van Gogh - Sulla soglia dell’eternità, anch’esso uscito due giorni dopo, vola oltre il milione e trecentomila euro

di Davide Turrini

Suspiria è bellissimo. Suspiria è orribile. E al botteghino non sfonda. Mai come di fronte all’ultimo film di Luca Guadagnino critica blasonata e semplici spettatori si sono così divisi. Planato dall’ultimo Concorso del Festival di Venezia in uno slot distributivo angusto e rischioso (1 gennaio) l’atteso remake dell’horror diretto nel 1977 da Dario Argento ha avuto un accoglienza tiepidina, creando un curioso effetto di separazione con l’accetta dei giudizi tra idilliaci osanna e solenni incazzature.

Se Variety ha sostanzialmente salvato il film, nella stessa recensione si è chiesto ironicamente se, dopo aver capito che Suspiria “può essere un film art house”, si potesse “tornare indietro quando era solo un appariscente, fiammeggiante opera kitsch”? “Guadagnino fallisce il suo esame da apprendista stregone”, ha titolato LeMonde. E Thomas Sotinel nella recensione ha sottolineato, riferendosi alla storia basata sulla congregazione di streghe malefiche nascosta sotto l’etichetta di una scuola di danza, che “dopo la brillante magia bianca di Call me by your name Guadagnino non è stato capace di lanciare un minimo incantesimo malvagio dissimulando questa lacuna sotto uno spettacolare camuffamento fatto di intuizioni estetiche, pretese intellettuali ed emoglobina”. Troppa la carne al fuoco, secondo il quotidiano francese: “guerra fredda e banda Baader-Meinhof, follia e dolore, danza e trance, è troppo per un solo film”.

Sul New Yorker Richard Brody ha sparato ad alzo zero: “risultato sordido, inconsistente kitsch sull’Olocausto, fanatico chic, con l’effettiva sostanza politica di un ideatore di una t-shirt di Che Guevara”. Per Brody Suspiria “incorpora familiari cliché per il consenso dello spettatore art house, applicando temi politici ad un film come fossero voci di una lista da spuntare”. Il carico l’ha infine calato il nostro Roy Menarini sul settimanale FilmTv: “un remake dalle ambizioni imperscrutabili, debitore dei fashion film che il cineasta frequenta con dubbi risultati, dove la maniacale cura dei dettagli non compone mai un puzzle culturalmente rilevante e persino il “viscontismo” dei primi film è svanito”. E ancora: “Ma fosse solo un luna park per intellettuali, sarebbe uno dei tanti. Il peggio è la cornice storica, dove la ferita del terrorismo tedesco e una complicata storia sulla Shoah si intrecciano irresponsabilmente con la vicenda stregonesca”.

Sulla stessa testata, ad onor del vero, la quasi totalità dei critici si è sperticata in una difesa e amore incondizionato del film donandogli voti altissimi. E lo stesso dato di accumulo artificiale di riferimenti storici viene letto da Pier Maria Bocchi come qualcosa di estremamente attuale: “Non è un film sul male, non solo la storia di una ballerina inghiottita dall’oscurità: è una love story. Chiamiamola col suo nome. Un film sulla “considerazione” quale forza per non soccombere – al dolore, all’afflizione, alla memoria, all’ignoranza, all’incantesimo stregonesco, all’illusione che gli anni, e gli anni, e gli anni ancora seppelliscano le responsabilità e le colpe. Considerare dunque il presente significa anche saperlo vedere bene; significa riconoscere, prendere posizione, fare delle scelte, e anche scorgere un cuore laddove quest’ultimo è riuscito a sconfiggere la lusinga della dimenticanza”. Ma anche su Art Tribune, Tersa Macrì ha scritto di Suspiria come di un’opera imponente: “Il regista, in questo caso, azzarda e sviluppa una idea perturbante, ammantata di misteri e di enigmi e che si srotola in un contesto politico centrale della storia contemporanea (…)E questa frizione tra interno ed esterno, tra intimità e socialità, tra corpo e anima concorre a infittire e impreziosire un film che nel suo divenire sorprende, sgomenta, meraviglia e si posiziona nell’inconscio”.

Dopo una settimana di programmazione nelle sale italiane Suspiria ha raccolto 712mila euro d’incassi. Per rimanere nell’area d’essai è una cifra non proprio da strabuzzare gli occhi, anzi. Vice, uscito oltretutto tre giorni dopo, ha fatto quasi lo stesso incasso (692mila), mentre Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità, anch’esso uscito due giorni dopo, vola oltre il milione e trecentomila euro. Per non parlare dei titoloni natalizi come Acquamen, Ralph Spacca Internet o lo strabiliante Bohemian Rhapsody che viaggiano con il doppio delle copie a disposizione (il film sui Queen a dire il vero appena qualcuna in più di Suspiria) ma che mietono numeri da capogiro. Il numero di copie con cui è stato distribuito inizialmente Suspiria è di 224, ma calerà già nel secondo weekend “presumibilmente del 50%”, come segnala al FQMagazine Videa, il coraggioso distributore italiano che ha creduto fermamente nel film. Insomma dopo l’acclamazione da Oscar per Call me by your name, Guadagnino torna ad essere quello strano oggetto di decifrazione filmica che pubblico e critica italiana avevano tenuto in una sorta di bagnomaria del consenso per anni e che lo aveva spinto a trovare produttivamente gloria, riuscendoci, nei dintorni dell’Academy con il precedente film: tre nomination e l’Oscar a James Ivory per la Miglior sceneggiatura non originale.

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