Quella del 2018 non è stata una buona annata per il mercato italiano dell’auto, in flessione del 3,11% rispetto al 2017, con 1,91 milioni di immatricolazioni. È andata ancor peggio a FCA, che ha ceduto il 10,37% (502 mila registrazioni contro le 560 mila del 2017), anche a causa della senescenza o della scarsezza di una parte della gamma prodotto. Una miscela di ingredienti che produce un risultato inevitabile: un calo del 6,8% della produzione delle fabbriche italiane di FCA. Se si considerano le sole auto e non i veicoli commerciali, poi, allora la picchiata è del 10,2%. I dati sono stati pubblicati dalla Fim-Cisl (Federazione Italiana Metalmeccanici aderente alla Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori).

C’è da dire che rispetto al periodo pre-crisi del 2013, nel 2017 la produzione aveva segnato un incremento del 76%. Invece nell’anno da poco concluso, dopo un lustro di continua crescita, si è scesi al di sotto del milione di vetture assemblate (964 mila per la precisione), dopo due anni in cui si era superato questo traguardo. Il rallentamento si è registrato in tutti e quattro i trimestri, particolarmente nell’ultimo a causa dell’entrata in vigore del nuovo ciclo di omologazione Wltp. Unica nota positiva è stata la crescita, anche rispetto al 2017, delle produzioni di Fiat Professional nello stabilimento di Sevel in Val di Sangro (+1,7%) e di Melfi (+2,8%), dove vengono assemblate Jeep Renegade e Fiat 500X; un incremento avvenuto nonostante il termine della fabbricazione della Punto, andata fuori produzione lo scorso luglio. Dismessa pure la Alfa Romeo MiTo, altra dipartita che, in termini di volumi, ha peggiorato ulteriormente la situazione.

“L’effetto sull’occupazione nel 2018, come già ribadito dalla Fim-Cisl più di un anno fa, non è andato nella direzione auspicata dal passato piano industriale di FCA, cioè l’azzeramento dell’uso degli ammortizzatori sociali negli stabilimenti italiani”, si legge nella nota ufficiale Fim-Cisl: “La scelta di rallentare il completamento del piano, rinviando alcuni investimenti nel corso del 2017, il ritardo nel lancio di nuovi prodotti, ha avuto un impatto negativo sull’obiettivo della piena occupazione”.

Va sottolieato, però, che la situazione è meno pesante di quella pre-piano industriale del 2014, dove l’uso di ammortizzatori sociali coinvolgeva oltre il 27% dei 66 mila dipendenti di FCA. Fino al 2017 gli ammortizzatori pesavano poco più del 8% della forza lavoro ma, secondo le stime del sindacato, nell’ultimo periodo si è verificata “un’inversione di tendenza con un aumento dell’uso di contratti di solidarietà e della Cassa integrazione. La stima è che attualmente la misura degli aiuti di Stato veleggi tra il 12-15% e che nel 2019 peggiori ulteriormente, “trattandosi di un periodo di transizione in cui le nuove produzioni implementate non impatteranno ancora sui volumi”.

C’è comunque fiducia da parte del sindacato per il futuro a medio termine di FCA in Italia, specie dopo l’incontro coi vertici dell’azienda, avvenuto lo scorso 29 novembre a Mirafiori, quando è stato comunicato un piano di investimenti per gli stabilimenti di 5 miliardi entro il 2021: “Risposte molto positive anche se permangono alcuni aspetti critici, ma che certamente fanno intravedere l’obiettivo della piena occupazione entro la durata del nuovo piano”. Infine, “i vertici di FCA ci hanno poi ribadito che anche i modelli non evidenziati nel triennio, comunque verranno sviluppati entro il 2022 così come comunicato a Balocco”.

Ma all’orizzonte potrebbe esserci un altro sgradito spauracchio da scongiurare: il ricalcolo da parte di FCA dei suddetti investimenti a seguito dell’introduzione dell’ecotassa: “Il provvedimento, anche se corretto nella sua stesura finale (penalizzazione sopra i 160 g/Km) penalizza economicamente l’acquisto di almeno 15 modelli prodotti da FCA in Italia. Ad una settimana dal provvedimento non abbiamo avuto comunicazioni da FCA, nei prossimi giorni cercheremo di capire quali decisioni vengono prese”.

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