Chiudiamo queste vacanze natalizie con l’ultimo consiglio per gli ascolti: il disco Go Go Diva de La rappresentante di lista, gruppo formato da Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina. È uscito lo scorso 14 dicembre, anticipato dal singolo Questo corpo. A mio avviso loro sono una delle proposte più interessanti degli ultimi anni. Si sono formati nel 2011 e hanno all’attivo tre dischi, con un percorso preciso, che evolve in maniera molto coerente. A partire dal 2014 con (Per la) Via di casa, passando per Bu Bu Sad del 2015 si arriva a questo Go Go Diva del 2018. È come se si fosse partiti da un territorio protettivo e materno, per poi distaccarsene e attraversare il dolore nel disco successivo, infine approdare a una consapevolezza di responsabilità con l’esaltazione materica e corporea dell’ultimo disco. Il passaggio all’età adulta non è un tema nuovo – pensiamo, uno per tutti, a Motta – ma sicuramente originale è la coerenza del percorso e la sua realizzazione: ogni passaggio viene cadenzato nei tre dischi con estrema consapevolezza, anche musicale. Ma vediamo da vicino Go Go Diva, così capiamo forse anche meglio questi concetti. 

L’album è incentrato su quello che la band ha definito “un invito a perdersi, a battersi, a spogliarsi e a cantare con tutta la voce che si ha in corpo”. Il messaggio passa chiarissimo sin dalla prima traccia, il primo singolo del disco, Questo corpo. La voce parte determinata a descrivere e nominare ogni singola parte del proprio corpo. La musica l’asseconda e la enfatizza con sobria fatalità. Poi la stoccata: “Dalla mia testa parte,/ alla mia testa ritorna/ una canzone che sommerge i miei occhi”. In un’immagine viene immediatamente isolato il materiale di riferimento e la sua unione inscindibile con la canzone, che sarà il modo di parlarne da lì alla fine del disco. Ci accorgiamo che la necessità di un ritorno alla fisicità riguarda anche una voglia di prendersi le proprie responsabilità, per una bentornata canzone sociale. Leggiamo in tal senso le parole di Dario Mangiaracina: “Se è vero che dagli anni Zero in poi la canzone ha descritto maggiormente una deriva postideologica, con gli ultimi sviluppi politici in noi si è riaccesa la necessità di tornare a credere in qualcosa. Il percorso credo sia partito dalle canzoni di Vasco Brondi e oggi per noi Go Go Diva è un disco in cui c’è la necessità di sventolare una bandiera. Recentemente mi ha molto colpito l’immagine di Mustafa Hassouna, che sventolava una bandiera palestinese. La foto mi ha molto emozionato, soprattutto per la forza che ha quell’immagine di far capire l’importanza di tornare a credere in qualcosa”.

Questa esaltazione della fisicità torna nel disco in canzoni cruciali come Guarda come sono diventata o Woow e, oltre che come responsabilità d’impegno civile, è legata a doppio filo con la metafora sessuale, soprattutto dal punto di vista femminile.

Sessuale: perché è una sfera che restituisce meglio di altri la fisicità, dunque così è più facile da comunicare, perché la canzone è uno strumento evocativo, che si avvale di immagini d’impatto.

Femminile: perché il gesto femminile di riappropriarsi del proprio corpo è rivoluzionario di per sé, in un’epoca di mercificazione come questa.

Non ci si ferma certo solo lì, però. Leggiamo le parole di Veronica Lucchesi: “Ancora oggi molte persone non hanno idea di che cosa significhi conoscere il proprio corpo, non solo sotto il punto di vista sessuale: tu sei strettamente legato a quello che fai, a come ti muovi nel mondo, a quello che senti. E il corpo è lo strumento fondamentale con cui fare esperienza in questa vita”. Allora anche la musica di Go Go Diva rappresenta un’evoluzione del percorso, in prospettiva e nel rapporto con i due dischi precedenti. Dove nel primo disco c’erano anche sonorità tradizionali, quasi folkloristiche, qui il canto e la musica sono più duri, estremamente rivolti al futuro, e – basti per tutte le canzone The bomba, urlo scandito inequivocabilmente anche per via dello spelling – anche i contenuti si fanno più forti. Ancora Veronica: “Già in pre-produzione l’identità dei brani usciva in modo prepotente. La prima fase ovviamente è stata quella di scrittura mia e di Dario. Ma, anche in studio a Palermo, ciò che volevamo fare era costruire intorno alle strutture delle canzoni un ambiente sonoro adatto, un microclima che funzionasse bene per ogni canzone. Ecco perché sono anche molto diverse, ma hanno tutte lo stesso impeto”. Credo che le intenzioni corrispondano felicemente alla riuscita.

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