All’Humanitas, centro d’eccellenza alle porte di Milano, per una risonanza magnetica del cervello si attendono in media 618 giorni, quasi due anni. Per una biopsia all’esofago 580 giorni, una semplice mammografia ne richiede 517. Al Niguarda, l’ospedale più grande d’Europa, una prima visita dermatologica viene fissata in media a 450 giorni, dove “media” significa che c’è una parte alta della forbice che è meglio non conoscere. Ai tempi scandalosi delle liste d’attesa l’italiano ha fatto il callo, specie nelle regioni dove la sanità sconta la carenza cronica di risorse e i limiti dettati dai piani di rientro. Ma la piaga non risparmia quelle considerate “virtuose”,  come la Lombardia, che grazie a 18,5 miliardi di budget spicca nella classifica nazionale per investimento nella salute. Perfino qui, dove la sanità è tradizionalmente un vanto, i dati sono preoccupanti e fanno capire bene perché il ministro Giulia Grillo si sia spesa per far finanziare con 350 milioni in Legge di Bilancio progetti regionali volti a garantire “tempi certi per ogni prestazione”. Il tema è tener fede alla legge dello Stato. Per abbattere le liste d’attesa, ha inserito i tempi garantiti delle prestazioni tra i livelli essenziali di assistenza. Ma da Bolzano a Palermo, vengono bellamente disattesi. Milano compresa.

Per legge 58 prestazioni sanitarie, tra visite ed esami diagnostici, devono essere garantite entro 72 ore in caso di urgenza, entro 10 giorni e fino a 180 giorni negli altri casi, secondo la priorità indicata dal medico sulla ricetta. Questo prevede il Piano Nazionale delle liste d’attesa recentemente rilanciato dal ministro Grillo. Anche nelle regioni più promettenti, infatti, le cose non vanno come dovrebbero. In Lombardia l’abbondanza di offerta sul territorio delle Ats non elimina del tutto il problema della disomogeneità della risposta, tra aree di eccellenza e sorprendenti ritardi. Lo stesso succede nel capoluogo appena issato da una (controversa) classifica in cima alla lista delle città italiane per qualità della vita. Basta dare un occhio alla statisticazione, anch’essa prevista per legge, dei tempi medi di erogazione delle prestazioni che dovrebbero essere garantiti. Interrogandolo così come si presenta restituisce dati secondo un ordine alfabetico per struttura e dice poco. Ma basta riordinarli con pazienza per tempi in ordine decrescente e viene fuori la classifica che non ti aspetti, con tempi a dir poco scandalosi rispetto alla legge e pure al buon senso. Si scopre così che all’Humanitas, ad esempio, una prima visita dermatologica richiede 588 giorni di attesa. Al Sacco una “prima visita” gastroenterolologica arriva dopo 332 giorni. L’ecografia alla mammella al Bassini ne richiede 378. Tempi lunghi anche fuori dal capoluogo e nel resto della Regione. L’Ospedale di Legnano per una tac addominale da appuntamento dopo 145 giorni, 5 mesi. Quello di Rho a 134. Singolarmente e nel complesso, sono dati impressionanti.

“Ci sono strutture che concorrono di più allo smaltimento delle liste e situazioni in cui è il paziente stesso ad allungare i tempi perché pur di eseguire una visita di controllo o un esame presso la struttura di cui si fida è disposto a volte ad attendere anche un anno o più”, fanno sapere dall’Azienda di tutela della salute della Regione. “Grazie al sistema unico di prenotazione che mette in rete tutta l’offerta, salvo rari casi, si riesce a garantire la prestazione  nei tempi”. A certificarlo è persino l’associazione lombarda delle strutture ambulatoriali private Anisap che proprio in questi giorni ha diramato una nota sulle rilevazioni 2018 che registra “aumenti consistenti nelle strutture accreditate”, tali da raddoppiare le liste rispetto al 2017. Dalla ricerca presso gli associati è emerso che sempre più strutture non riescono a garantire la prestazione entro i termini di legge. Per una visita oculistica in media nel 2018 i tempi di attesa sono stati 45-60 giorni, erano 10-30 nel 2017. Idem per la Tac ne richiedere 30-45 contro, la gastroscopia passa da un mese a 45-60 giorni. Le cause del peggioramento, secondo gli associati, sarebbero da imputare alla Regione (50% degli intervistati), al SSN  (30%) e alle strutture (20%). Sul banco degli imputati il blocco dei finanziamenti del SSN dal 2012 che ha determinato uno squilibrio che si è via via accentuato, fra la domanda di prestazione e il numero di quelle che possono effettivamente essere erogate, con conseguente impennata delle liste. Da qui la richiesta di stanziare budget adeguati e assumere il personale necessario, in particolare specialisti.

I dati di alcune strutture sono pesanti i termini assoluti. L’Humanitas non si tira indietro. “Abbiamo controllato, effettivamente quelli sono i tempi medi di risposta”, fanno sapere dagli uffici della comunicazione del centro di Rozzano. Anche tramite il sistema di prenotazione il tempo di attesa risulta più elevato degli standard di legge: per una prima visita cardiologica, al momento in cui scriviamo, servono minimo 49 giorni. “La situazione attuale – spiegano dall’ospedale – vede da un lato, la richiesta d’assistenza che ormai supera l’offerta, dall’altro il sistema sanitario regionale che ha posto limiti di erogazione di esami, visite e interventi. Per questa ragione, a fronte delle molte richieste, le attese si protraggono. Quest’anno abbiamo offerto prestazioni, sempre in regime di SSN, ben oltre i limiti imposti dal budget, per un valore di circa 5 milioni di euro.  In questo contesto, facciamo quanto possibile per consentire l’accesso dei cittadini ai servizi, privilegiando l’urgenza, le patologie tempo dipendenti  e continuità di cura ai pazienti oncologici. Abbiamo altresì raddoppiato le disponibilità per le “classi di priorità” (bollini verdi e classe D). Ciononostante, l’altissima domanda può influire sul rispetto dei tempi richiesti”.

Il problema è ben noto ai piani alti di Regione Lombardia che provano a correre ai ripari, mettendo in campo risorse specifiche e contromisure che arrivano al “commissariamento” della prenotazione. “Chiaro che 600 giorni per una visita di primo accesso sono troppi”, dice l’assessore alla Salute Giulio Gallera. “Senza nulla nascondere, però, ritengo vada distinto il dato statistico sulle singole strutture dalla risposta complessiva del sistema regionale, dove stiamo facendo uno sforzo per ridurre le liste”. Anche nella Lombardia che fa della sanità un vanto, si devono prendere contromisure per contenere il rischio di infrangere i tempi di legge alla base del Piano nazionale delle liste. “Quest’anno sulle 12 visite più importanti (prima visita dermatologica, cardiologica, oculistica, mammografia, elettrocardiogramma…) abbiamo messo 15 milioni in più tra Milano e Brescia, per aumentare l’offerta di quelle prestazioni, proprio per ridurre le liste. È una misura per riportarle in linea nei tempi ordinari. Lo facciamo solo noi. Per le attività che superano del 10% i tempi di riferimento saranno acquisiti a livello regionale tutti gli slot di agende e l’unico interlocutore sarà il Cup regionale”.

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