Un fantasma iracondo si aggira anche per l’Italia. Però, dalle nostre parti non si materializza lo spettro francese col gilet giallo, impegnato nel costruire barricate. Semmai imperversa uno spiritaccio incolore, descritto dall’ultimo Rapporto – il 52°- del Centro Studi Investimenti Sociali (Censis). Che aspetto ha? Quello della «delusione per lo sfiorire della ripresa e per l’atteso cambiamento miracoloso». Gli italiani sono descritti in preda a un «sovranismo psichico prima ancora che politico», che «talvolta assume i profili paranoici della caccia al capro espiatorio, quando la cattiveria – dopo e oltre il rancore – diventa la leva cinica di un presunto riscatto e si dispiega in una conflittualità latente, individualizzata, pulviscolare». In parole povere siamo incazzati, razzisti, egoisti e prepotenti. Ne sappiano qualcosa noi frequentatori di blog e di social network.

Il mirino dell’odio di massa prima di tutto è puntato (con il contributo di partiti che cavalcano l’onda e la rendono più impetuosa) contro migranti e rom. Nella storia l’attacco alle minoranze non è un fenomeno nuovo. Però oggi il nostro subconscio razzista è esibito con un’irruenza cui non si assisteva dai tempi delle leggi razziali fasciste, varate più di 80 anni fa. Cosicché due italiani su tre vedono con negatività l’immigrazione. I più arrabbiati trionfano nelle categorie fragili: il 71% di chi ha più di 55 anni e il 78% dei disoccupati, mentre il dato scende al 23 tra gli imprenditori. Il 58% ritiene che gli immigrati ci privino di posti di lavoro, il 63 che rappresentino un peso per il sistema assistenziale; soltanto il 37% sottolinea il loro effettivo apporto positivo per l’economia e la previdenza sociale, in un Paese in calo demografico. Infine, per il 75% l’immigrazione aumenta il rischio di criminalità e il 59,3 esclude la possibilità di raggiungere un buon livello di integrazione tra etnie e culture nei prossimi dieci anni.

La rabbia italiana, che sconfina nella cattiveria gratuita, spiega, secondo i ricercatori del Censis, anche il successo delle politiche nazionalpopuliste e anti-Unione europea. Sono – valutano i ricercatori del Censis – «dati di un cattivismo diffuso che erige muri invisibili, ma spessi». Inoltre, guardando al futuro il 35,6% degli italiani è pessimista, deluso e impaurito, il 31,3 è incerto, soltanto il 33,1 è ottimista. Un fenomeno comune a molti Paesi della Ue e non solo, ma che nel nostro appare più accentuato, nonostante sia ancora compresso dall’illusione che i politici prestigiatori tirino fuori la bacchetta magica. La situazione descritta nel Rapporto sembra riflettersi nelle disposizioni varate da un governo che, da un lato, stimola l’odio usandolo come arma di distrazione di massa, dall’altro lo traduce in scelte politiche. Risultato: Amnesty International ha appena sostenuto che l’Italia gestisce in maniera “repressiva” il fenomeno delle migrazioni, mette a rischio i diritti umani dei richiedenti asilo, adotta spesso nella politica una retorica xenofoba e pratica sgomberi forzati, senza offrire alternative.

Tuttavia – siccome l’odio non riempie le pance, non fa trovare un lavoro e non incrementa i conti in banca – è legittimo chiedersi come si trasformeranno gli elettori, divisi in tre parti quasi uguali. Per quanto tempo quell’italiano su tre che alcuni mesi fa ha votato i partiti oggi al potere può rimanere imbambolato, seppur arrabbiato, in attesa del colpo di bacchetta magica? Ancora più enigmatica è la capacità di resistenza allo stress da parte del cittadino su tre che non ha votato durante le scorse elezioni. Pure l’italiano su tre (poco meno) che ha votato i partiti oggi all’opposizione può sentirsi frustrato: dal fatto che la suddetta opposizione venga fatta, poco e male, da fazioni che non riescono ad ammettere i propri gravi errori.

In tutti i casi, è angosciante la sempre più estesa allergia nei confronti delle urne e del sistema della rappresentanza. È vero che negli ultimi 4 anni la fluidità del consenso nell’era del web ha già dimostrato come un partito (il Pd) possa più che dimezzare i voti, mentre un altro (la Lega) possa triplicarli o quadruplicarli. Tuttavia è pure vero che lo spettro peggiore potrebbe essere quello del crollo strutturale degli equilibri democratici, causato dalla latitanza di massa in occasione delle elezioni. Perché molti altri potrebbero convincersi della tesi (quasi un proverbio, ormai) secondo la quale “i politici sono tutti uguali”; quindi è inutile votare.

Se voterà un italiano su due, per fare un’ipotesi solo apparentemente pessimistica, che cosa sarà del governo del Paese? Chi sarà “nominato” da un elettorato forse minoritario rispetto ai non votanti delusi? Quali altre fonti di rabbia e rancore si innescheranno tra gli autoesclusi? La reazione, da parte di chi non è ancora in overdose da “rancorismo” e masochismo, dovrebbe essere quella di offrire alla discussione prospettive pratiche, realizzabili, civili e democratiche. Certo, in questo clima non è facile discutere pacatamente. Infatti, dopo migranti e rom, nella graduatoria dell’odio i “santoni del cambiamento” aggiungono gli “eretici”, quelli che al suddetto cambiamento, sempre imminente e mai evidente, non credono. Però quando il gioco si da duro, come è noto, i duri possono – o potrebbero – cominciare a giocare. Forse è ora.

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