Il governo argentino allarga le maglie dell’uso delle armi da parte della polizia. D’ora in poi gli agenti delle forze federali di sicurezza potranno usare armi letali anche senza un’aggressione diretta precedente e senza dover intimare ad alta voce di fermarsi a chi sta commettendo un delitto, se risultano inefficaci gli altri mezzi non violenti. Lo prevede il nuovo regolamento generale per l’impiego delle armi da fuoco, pubblicato qualche giorno fa sulla Gazzetta ufficiale argentina.

Il testo entrato in vigore, oltre a prevedere l’uso di armi letali nel caso “di difesa propria o di altre persone, nel caso di pericolo imminente di morte o di lesioni gravi”, o “per impedire un delitto particolarmente grave”, estende questi principi anche a “quando si presume verosimilmente che il sospetto possa possedere un’arma letale”, o “quando fa dei movimenti che indicano l’uso imminente dell’arma”. E aggiunge che non è necessario intimare a voce alta di fermarsi, quando ciò possa risultare “evidentemente inadeguato o inutile in base alle circostanze del caso”.

Un provvedimento che arriva esattamente un anno dopo un caso che aveva diviso la società argentina proprio sull’uso delle armi e la legittima difesa. Protagonista era stato l’agente di polizia Luis Oscar Chocobar, che aveva sparato sette volte alla schiena ad un ragazzo, Juan Pablo Kukoc, che insieme ad un complice, aveva derubato un turista statunitense, pugnalandolo alla schiena una decina di volte. Era intervenuto in questo modo – secondo il suo racconto – dopo essersi identificato e aver pensato che il ragazzo stesse per tirare fuori un’arma. Il turista è sopravvissuto, mentre il 18enne è morto poco dopo, mettendo Chocobar al centro di un dibattito nazionale sui limiti dell’uso della forza da parte della polizia. C’è stato chi, come il presidente Mauricio Macri, lo ha ricevuto alla Casa Rosada come un eroe, e chi come il giudice del tribunale dei minori, Enrique Velazquez, lo ha messo sotto processo con l’accusa di omicidio aggravato nell’eccesso del compimento del proprio dovere. Reato che prevede 5 anni di reclusione.

La ministra della Sicurezza, Patricia Bullrich, ha ovviamente difeso il protocollo, sostenendo che mette solo nero su bianco ciò che accade in situazioni in cui i poliziotti scelgono di non intervenire per il timore di essere accusati, citando proprio come esempio il caso Chocobar. “La società deve avere ben chiaro dove sta il bene e dove il male – ha detto – Se i regolamenti sull’uso delle armi da fuoco sono come questo, chiari e trasparenti, avremo una società ordinata”. Anche per il ministro dell’Interno, Rogelio Frigerio, non si tratta di dare “una licenza di uccidere” ai poliziotti, ma di “chiarire la forma in cui bisogna gestire le forze di sicurezze di fronte ad un rischio per la propria vita. È ciò che accade nella maggior parte dei Paesi del mondo, non ce lo siamo inventati noi”.

Critiche invece le associazioni e organizzazioni non governative che si occupano di diritti umani. La presidente delle Abuelas de Plaza de Mayo, Estela Carlotto, ha definito il testo “nefasto”, e accusato la Bullrich di “legalizzare la morte”, mentre la ong Correpi, che lavora proprio contro gli abusi della polizia, ha detto che “è un riassunto delle principali scuse usate dalle forze di sicurezza per difendersi durante i processi”. Anche se il protocollo non è una legge, ma un regolamento interno delle forze di sicurezza federali, avrà effetto sulle decisioni dei giudici.

“Il governo cerca di delimitare le possibili interpretazioni dei magistrati. Il messaggio che viene fuori dice ‘voi agite come vi viene, e non avrete problemi con la giustizia”, ha aggiunto il coordinatore del gruppo di Sicurezza democratico del Centro di studi legali e sociali, Manuel Trufó. Al di là dei casi di cronaca più famosi, il tasso di omicidi in Argentina è uno dei più bassi dell’America Latina: nel 2017 è stato di 5,2 morti ogni 100mila abitanti. Il secondo dopo quello del Cile (3,5) e ben lontano dall’altro estremo, rappresentato dal Venezuela, con 89 omicidi ogni centomila abitanti.

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