Tra sostenitori e scettici, ormai in molti sembrano essere d’accordo sulla necessità di portare a termine i lavori del Mose perché, come ha dichiarato giorni fa il viceministro alle Infrastrutture Edoardo Rixi, nonostante i gravi errori di progettazione, “lasciare un’opera a marcire sott’acqua non è il modo di risolvere il problema”. Un problema legato a Venezia e ai cambiamenti climatici che, però, sarà molto difficile da risolvere nonostante i soldi spesi nell’opera (che una volta completata, si prevede nel 2022, sarà costata 5,5 miliardi di euro), e le varie peripezie, tra ditte non pagate e diffide per lavori eseguiti male.

IL LIVELLO DEL MARE NE LIMITERÀ L’EFFICACIA
Secondo la prestigiosa rivista scientifica Nature infatti, il progetto, formato da una rete di 78 paratie a ribalta progettate per creare una barriera artificiale al mare e isolare la laguna dall’Adriatico, potrebbe distruggere l’ecosistema lagunare di Venezia e l’economia marittima nel giro di pochi decenni. Sulla base di recenti studi di modellizzazione, scrive Nature, il Mose diventerà meno efficace nel prevenire le inondazioni della città. Questo perché, a causa dell’innalzamento del livello del mare, le paratie dovrebbero restare alzate per tempi superiori rispetto a quelli previsti in un primo momento. E questo avrebbe inevitabili conseguenze sull’ecosistema.

LA VULNERABILITÀ DI VENEZIA
A evidenziare la vulnerabilità della città rispetto all’innalzamento del mare sono state anche le simulazioni e gli ultimi dati raccolti in seguito alle inondazioni di fine ottobre con l’acqua alta arrivata a 156 centimetri. Oltre a recenti studi, come quello pubblicato su Nature Communications da un team di ricercatori tedeschi e britannici guidato da Lena Reimann del Geographisches Institut della Christian-Albrechts- Universität di Kiel. Un lavoro che prende in esame i siti del patrimonio mondiale nelle aree costiere poco elevate del Mediterraneo, come la laguna di Venezia. A parlare di questa vulnerabilità è Luigi D’Alpaos, ingegnere ambientale dell’università di Padova. Secondo il ricercatore, infatti, non si tratta di un problema relativo alla struttura, ma alla frequenza con cui le paratie dovrebbero essere alzate. Molto più spesso rispetto a quanto calcolato in un primo momento a causa del continuo aumento del livello dell’acqua e della frequenza di maree eccezionalmente alte.

LA LAGUNA CHIUSA 187 GIORNI ALL’ANNO
L’ingegnere ha simulato le conseguenze potenziali di diversi livelli del mare, basandosi sulle osservazioni relative a tutte le alte maree che si sono verificate tra il 2000 e il 2012. Insieme al suo team, all’inizio dell’anno, ha calcolato che con un innalzamento del livello del mare di 50 centimetri, la laguna rimarrebbe chiusa fino a 187 giorni all’anno, anche per settimane intere. Secondo i ricercatori, questo ridurrebbe rapidamente l’ossigeno della laguna e, quindi, anche le popolazioni di pesci e di molte specie di uccelli che nidificano nella zona. E non parliamo di fantascienza, visto che si tratta di un livello di innalzamento già previsto dall’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc). Per non parlare di un recentissimo studio del Ingv che ha calcolato come il livello medio dell’acqua in Laguna aumenterà di 85 centimetri da qui al 2100. “Per salvare la laguna – spiega il ricercatore – dovremmo aprire le paratie, eliminando l’unica barriera contro le inondazioni”.

I ‘CONTI’ DEL CONSORZIO
Il consorzio Venezia Nuova, incaricato della realizzazione del progetto, ha già fatto i conti con questo problema. Per evitare l’esaurimento dell’ossigeno il Mose dovrebbe essere attivato solo nei giorni in cui il livello dell’acqua si alzerà di 110 centimetri sopra la media (anche se con questa scelta sarà allagata parte di piazza San Marco). Secondo D’Alpaos, si tratta di una misura non sufficiente a contrastare anche inondazioni regolari, ossia tra i 70 e i 100 centimetri sopra la media, che sono piuttosto comuni. Un esempio? Le inondazioni di ottobre sono durate circa 30 ore. Monica Ambrosini, portavoce del consorzio, ha dichiarato a Nature che se il Mose fosse stato attivo, con questa misura “le paratie sarebbero rimaste alzate per 20 ore”.

LE ALTERNATIVE
Secondo i ricercatori, però, le inondazioni saranno sempre più frequenti e dureranno per giorni interi, richiedendo chiusure più prolungate. Alternative sono state studiate: come la tecnica, sperimentata negli anni Settanta sull’isolotto di Poveglia, di iniettare cemento fluido sotto terra per sollevare l’intera città oppure l’iniezione di acqua a centinaia di metri di profondità, attraverso 12 pozzi intorno a Venezia. Si tratta di un metodo frequentemente utilizzato per stabilizzare le piattaforme petrolifere durante le estrazioni. “Il caso di Venezia sarebbe più complesso – ha spiegato Georg Umgiesser, oceanografo del Consiglio Nazionale delle Ricerche, a Nature – perché la città ha una struttura fragile e ha già fatto i conti con 25 centimetri di cedimento”.

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