Una società sempre più vecchia, ma che deve urgentemente dare prospettive ai giovani. È sulle due fasce estreme che si gioca l’equilibrio e l’efficacia dello Stato sociale, che deve da un lato sostenere le opportunità, dall’altro offrire assistenza e protezione. Ma quanto le due generazioni possono fare fronte unico? Quanto si conoscono e comunicano tra loro?

È difficile chiedere a un anziano di essere in sintonia con un adolescente, per il semplice motivo che sarà indotto a riferirsi al ricordo di se stesso a quell’età. Un ricordo vecchio almeno di mezzo secolo e non paragonabile in un’epoca di cambiamenti veloci. Una volta le convenzioni attribuivano a ogni generazione una spazio medio di un trentennio, ora i termini sono cambiati radicalmente e anche sono nella fascia tra i 14 e i 25 anni vengono individuati almeno due passaggi culturali e quindi generazionali. Più utile puntare sui giovani, affinché possano lanciare un ponte di dialogo, intesa e comune interesse sociale verso gli anziani.

In questo senso ci si domanda quali strumenti siano necessari e quale sia la visione. L’Università di Liegi ha elaborato una ricerca sulla sensibilità dei giovani rispetto agli anziani, considerando la fascia di età della preadolescenza, fino ai 16 anni. Ne è risultata una forte incapacità di relazione, appena mitigata tra le ragazze, apparse più sensibili e una strettissima dipendenza dalla qualità dei rapporti d’infanzia con i nonni. È poi risultato che dove questi rapporti sono stati più stretti e non limitati al semplice affetto, ma anche costruiti sul piano della collaborazione familiare, negli anni a seguire è maturata una maggior consapevolezze dei bisogni sociali della terza età. Le generazioni – insomma – devono imparare a conoscersi presto e se le dinamiche familiari non lo consentono devono intervenire le politiche sociali.

Un sondaggio effettuato in un liceo di Trieste (esempio di città con alto livello di qualità di vita e tradizione di reti sociali) sul tema di come i giovani si rapportino agli anziani, ha fornito un giudizio poco confortante: i secondi sono visti come dispettosi, prevenuti, con scarsa fiducia e poca propensione a lasciarsi aiutare. E pensare che gli interessi di giovani e anziani si toccano in realtà frequentemente e se considerati insieme possono avere ricadute positive perfino sull’economia sociale. Basti considerare a quanto coincidano i bisogni di sostenibilità urbana: aree verdi, trasporti pubblici, accessibilità, agevolazioni nella fruizione di beni di uso quotidiano, luoghi di aggregazione, accesso a strumenti culturali pubblici. Non per nulla nei più moderni concetti di città le aree universitarie hanno le medesime fisionomie delle aree destinate agli anziani. Con il risultato non trascurabile di far coincidere capitoli di spesa negli stanziamenti pubblici.

Ma invece l’incomunicabilità tra i due mondi è grave. E se nel nostro Paese viene data come un evento naturale e inevitabile, all’estero è oggetto di interventi originali. A Hong Kong un fondo pubblico finanzia ormai dal 1993: Eldpathy, un programma di “apprendimento esperienziale”. L’intento è di far acquisire ai giovani esperienza personale della vita degli anziani, per poi inserirli in progetti di convivenza sociale quotidiana. Il metodo è molto concreto: i ragazzi vengono vestiti con corpetti che mediante pesi, elastici e parti rigide in corrispondenza delle articolazioni, costringono a provare esattamente lo stesso disagio fisico di un anziano. Addirittura vengono fatto indossare occhiali che abbassano la potenzialità visiva e cuffie che riducono la percezione dei suoni. In queste condizioni si devo affrontare normali momenti di vita quotidiana, come prendere messi pubblici, andare a fare la spesa, bere un caffè al tavolino di un bar. Il programma prevede anche la consulenza di anziani per elaborare incontri di formazione e piani di intervento da fornire poi alle istituzioni pubbliche. L’esperienza si è rivelata talmente efficace da venir adottata anche da una società internazionale di case di riposo e strutture di riabilitazione, per la formazione del personale. Tutti i dipendenti e collaboratori vengono sottoposti a una corso nel quale indossano una specie di esoscheletro che fa provare le stesse difficoltà delle persone ricoverate.

Da noi la crisi economica ha fatto abbandonare gran parte delle politiche sociali statali, per affidare l’iniziativa sia per i giovani che per la terza età alle istituzioni locali. Ma queste devono fare anch’esse i conti con bilanci in rosso. E generazioni che potrebbero mettere in comune bisogni e soluzioni, rischiano invece di allontanarsi sempre di più.

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