Antonio era addetto alle mescole, Enrico si occupava della vulcanizzazione, Fausto era un magazziniere, Vincenzo faceva l’assistente manutentore. Loro e altri 25 uomini erano operai della Pirelli di viale Sarca, Bicocca e viale Ripamonti, a Milano dove, secondo l’accusa del pm di Milano Maurizio Ascione, respiravano amianto per produrre pneumatici ma senza alcuna protezione tra gli anni ’70 e ’80. Ed è così che nel corso di anni, tra il 2002 e il 2012, la fibra del minerale killer ha cominciato a farli ammalare e poi morire. I nove ex manager dell’azienda, finiti sotto processo con l’accusa di aver causato il cancro ai polmoni o il mesotelioma pleurico o altri tumori, erano stati assolti il 19 dicembre 2016 con la formula piena. Da allora i familiari, che il giorno del verdetto protestarono urlando “vergogna: gli operai sono stati uccisi due volte, dai padroni e dai giudici”, aspettano le motivazioni del verdetto. Ma le ragioni per cui il giudice Anna Maria Gatto (ora presidente del Tribunale di Pavia) ha ritenuto di non riconoscere la responsabilità penale arriveranno soltanto a gennaio.

Il Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro, Medicina Democratica e l’Associazione italiana esposti amianto, questa mattina hanno inviato una segnalazione ai vertici del Tribunale, spiegando che la prescrizione corre (15 anni a partire dalla morte) e che non possono impugnare la sentenza in assenza dei motivi che avrebbero dovuto essere depositate dopo 90 giorni (i termini sono stati poi prorogati più volte). Le tre associazioni hanno deciso di depositare “una segnalazione” al presidente del Tribunale milanese Roberto Bichi e al presidente della quinta sezione penale Ambrogio Moccia per denunciare “un grave nocumento per le parti civili rappresentate dall’avvocato Laura Mara”. Con il tempo, scrivono, “la prescrizione corre con grave danno per le parti civili” e “le vittime e le loro associazioni senza le motivazioni della sentenza non possono neanche presentare appello“, mentre “non si ferma la conta dei morti fra chi ha lavorato alla Pirelli, in attesa di una giustizia che non arriva mai, altri ex lavoratori continuano ad ammalarsi e morire”.

Il presidente Bichi ha poi fatto sapere le motivazioni “saranno depositate entro gennaio”. Ai cronisti l’alto magistrato ha spiegato di aver contattato l’ex presidente della V sezione penale che le sta scrivendo e chiarendo che “il motivo del ritardo è collegato al trasferimento a Pavia“, ai molti “impegni” per riorganizzare quel Tribunale e anche a problemi personali. Bichi ha evidenziato il “lodevole impegno” del giudice Gatto che, sebbene fosse stata già applicata come presidente a Pavia quando era ancora in corso il dibattimento, ha deciso di portare a termine il processo, e ha spiegato che Gatto “sta lavorando anche il sabato e la domenica” per completare le motivazioni e depositarle, “consapevole della situazione che si è creata”. A Milano, nel frattempo, negli ultimi processi sull’amianto con imputati ex manager di aziende sono sempre arrivate assoluzioni. “Continueremo a lottare – si legge ancora nella nota delle associazioni – anche nelle aule del Tribunale, nelle piazze, nel territorio e sui luoghi di lavoro finché le vittime e i loro famigliari non avranno avuto giustizia“. Durante la requisitoria la pubblica accusa aveva chiesto condanne a pene comprese tra i 4 anni e mezzo e i 9 anni per sei imputati e l’assoluzione per altri tre.

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