“Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di giustizia (europea) di risolvere la questione sottoposta dalla Court of Session, Inner House, First Division (Scozia) come segue: quando uno Stato membro ha notificato al Consiglio europeo la sua intenzione di ritirarsi dall’Unione europea, l’articolo 50 del trattato sull’Unione europea consente la revoca unilaterale di tale notifica, fino al momento in cui l’accordo di recesso viene formalmente concluso, a condizione che la revoca sia stata decisa conformemente alle norme costituzionali dello Stato membro, venga formalmente notificata al Consiglio europeo e non comporti una pratica abusiva”.

Questa la parte conclusiva dell’opinione dell’avvocato generale Campos Sánchez-Bordona, pubblicata ieri mattina. La parola passa ora ai giudici della Corte di giustizia che si pronunceranno in una data successiva. I remainers già festeggiano, ma sono brindisi prematuri, perché l’opinione dell’avvocato generale non vincola i giudici. Il suo compito consiste nel proporre alla Corte, in piena indipendenza, una soluzione giuridica nella causa di cui è stato investito. Tuttavia i giudici potrebbero prendere una strada diversa e ben lo sanno gli italiani che seguirono, nel 2004/2005, la questione posta alla Corte dal Tribunale di Milano sulla congruità della normativa italiana sul falso in bilancio con le direttive comunitarie, quando la Corte adottò una decisione che non teneva conto dell’opinione dell’avvocato generale Juliane Kokott.

L’avvocato generale non reputa affatto convincente la tesi del governo inglese sulla irricevibilità della questione pregiudiziale in quanto ipotetica e accademica: la Corte, rispondendo alla domanda di pronuncia pregiudiziale, non svolge funzioni consultive, ma fornisce una risposta conforme alla sua funzione giudiziaria (cioè quella di dichiarare cosa sia la legge) in modo che, sulla base della sua risposta, il giudice scozzese che ha interpellato la Corte possa risolvere una controversia tra due parti che richiede l’interpretazione dell’articolo 50 del trattato sull’Unione europea.

Respinti anche i timori di un coinvolgimento della Corte in una diatriba politica nazionale. L’interpretazione dell’articolo 50 del Tue non implica un’interferenza nel processo politico di negoziazione del ritiro del Regno Unito dall’Unione europea: serve invece a chiarire, dal punto di vista del diritto dell’Unione, il quadro giuridico di tale ritiro, in cui l’esecutivo e il legislativo del Regno Unito sono protagonisti attivi. La possibilità della revoca, se confermata dalla Corte, può di per sé produrre effetti giuridici rilevanti, in quanto consente ai parlamentari ricorrenti di fare affidamento su tale possibile revoca per adottare una posizione o un’altra.

Entrando nel merito, l’avvocato generale, riconoscendo che l’articolo 50 del Tue non fornisce una risposta diretta alla questione, lo analizza nel suo contesto, all’interno del più ampio quadro normativo di cui fa parte e, per quanto riguarda ciò che non vi è espressamente previsto, alle disposizioni pertinenti della Convenzione di Vienna sul Diritto dei trattati, per cui le notifiche di recesso da un trattato internazionale possono essere revocate in qualsiasi momento prima che il recesso avvenga.

Per quanto riguarda la pretesa di Consiglio europeo e Commissione di subordinare la possibilità di revoca all’adozione di una decisione unanime del Consiglio europeo, l’avvocato generale ritiene che ciò sarebbe incompatibile con l’articolo 50 Tue, che non è stato ideato per essere un modo di espellere uno Stato membro.

Aggiornamento 6 dicembre 2018, ore 17.15
Comunicato della corte di Giustizia dell’Unione Europea
Brexit: la decisione sulla revocabilità della notifica di recesso dall’Unione europea secondo l’articolo 50 del trattato sull’Unione europea (causa C-621/18 Wightman) sarà pubblicata il 10 dicembre alle 9, Ora Centrale Europea

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