“Parlai con Matteo Renzi, non con il padre, per 20 minuti. Mi spiegò come funzionava”. Dopo l’accusa de La Verità all’azienda Speedy della famiglia Renzi di aver pagato in nero i propri collaboratori, un ex lavoratore ha raccontato per filo e per segno come è andata la sua esperienza come strillone a Firenze. E lo ha fatto a Radio Capital, emittente del gruppo Gedi. Confermando quanto scritto dal quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, contro il quale si sono scagliati Tiziano e Matteo Renzi annunciando querele. Pur essendoci due sentenze sfavorevoli sul punto, delle quali avevano già scritto Panorama e Ilfattoquotidiano.it.

Andrea Santoni, ora residente a Londra, spiega in una lunga intervista a Jean Paul Bellotto andata in onda a Circo Massimo e anticipata su Repubblica.it come è iniziata la sua collaborazione con la Speedy, quando aveva 20 anni. “Un amico mi informò che aveva un’amica che lavorava per l’azienda e vendeva giornali. ‘So che guadagna’, mi disse”, spiega l’uomo che specifica di essere tra i fondatori di Forza Italia a Firenze e di “odiare” Luigi Di Maio. Il ragazzo era in attesa di iniziare il servizio di leva, quindi aveva bisogno di un lavoro a tempo.

“Io non sono uno che sta a casa a far niente. Parlai con Matteo Renzi, non il padre, per venti minuti. Mi ha spiegato come funzionava. Mi disse: ‘Ti faccio fare il jolly”, ricorda Santoni. “Si presentò come quello della Speedy. Contratti? Logicamente no, andava bene a me e a lui. Tutto era fatto a umma umma“. Cioè, al mattino “prendevo i giornali, una volta c’era lui e una volta il padre”. Al termine della giornata di lavoro, continua, “ti portavi il reso a caso e ti prendevi i tuoi soldi“. La parte dei Renzi, secondo il suo racconto, “la mettevi nella busta e il giorno dopo la riportavi”. Il lavoro, spiega, era “tutti i giorni” per “circa tre, quattro ore”.

Sui contributi, che domenica Tiziano Renzi ha rivendicato d’aver pagato, Santoni – che ha fatto lo strillone per sei mesi – non ha dubbi: “Mai pagati, mai firmato nulla. Se ci paghi le tasse, dovrai far firmare qualcosa no?”. Invece niente, ribadisce. “Incassavo non grosse cifre – specifica – Dipende da quante copie vendevo. In via Masaccio si poteva arrivare anche a 180 quotidiani, altre volte meno”. E sul lavoro nero e le polemiche incrociate per quanto emerso nelle aziende del papà di Luigi Di Maio il suo giudizio è tranchant: “Il nero in Italia non è una notizia”.

Nell’edizione di lunedì, La Verità ha raccolto anche un’altra testimonianza, quella di Valerio Berardicurti, ex lavoratore della Delivery Service, la coop fallita che ha portato a un’indagine che riguarda anche Tiziano Renzi e sua moglie. L’uomo racconta di aver lavorato come autista per quell’azienda, poi un giorno “dalle parti del monte Amiata un’auto mi tagliò la strada” e lui si infortunò. “Nessuno dell’azienda si fece vivo. Né un messaggio, né una telefonata. Non mi pagarono nemmeno lo stipendio per il periodo in cui non fui in grado di lavorare”. Berardiscuri racconta, tra l’altro, che “risultavo part ime, ma lavoravo dalle 10 alle 12 ore al giorno” e “dovevo considerarmi fortunato” perché “c’è chi per mesi ha lavorato in nero”.

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