“Sono due le parole inglesi che amo di più. Una è deserve, meritare. Me l’ha detta il mio manager quando ho avuto la prima promozione: ‘I wish you all that you deserve‘. Quello che merito, quello che non ho avuto in Italia”. Carmelo Scattareggia, 31enne siciliano di Gangi, in provincia di Palermo, vive in Inghilterra da un anno. Il 12 novembre 2017 è atterrato a Manchester, chiamato da una multinazionale inglese a fare il mestiere per cui ha studiato, quello di ispettore veterinario, dopo quattro anni di precariato e frustrazioni come assegnista di ricerca all’università di Messina. L’episodio che lo ha convinto a scappare all’estero – racconta – è stata la richiesta del suo professore di lavorare gratis per sei mesi. “Mi disse che la mia borsa non poteva essere rinnovata, ma con un po’ di pazienza sarebbe stato approvato un altro progetto, e poi avrei avuto il mio spazio. Tornai a casa in lacrime e feci i biglietti per l’Inghilterra. Dopo un mese di training retribuito, e sottolineo retribuito, avevo il mio primo contratto a tempo pieno e indeterminato”. Adesso, dopo due promozioni, abita e lavora a Chester, un sobborgo di Liverpool. Per conto del governo inglese, la sua azienda svolge ispezioni sanitarie in porti, aeroporti, macelli e altre strutture: Carmelo è a capo di un team che ha la responsabilità su 12 impianti.

In Sicilia l’inefficienza della macchina amministrativa è tale da frustrare ogni buona volontà

Eppure, per convincerlo a lasciare l’Italia, ci sono voluti anni di sofferenze e delusioni. “Il mio calvario è iniziato a novembre 2013, quando mi sono laureato e ho iniziato a mandare curriculum alle cliniche private, nonostante non volessi fare il veterinario clinico. Ma i concorsi pubblici per il ruolo di ispettore, quello che interessava a me, sono fermi da 25 anni”, spiega. A giugno dell’anno dopo, all’ennesimo “le faremo sapere”, decide di provare con la ricerca universitaria, entrando in un team nell’ateneo in cui si è laureato. Così, racconta, “inizia un periodo frenetico, in cui mi trovo a dover reinventare il lavoro ogni giorno, saltando da un bando all’altro, da un progetto all’altro, sempre con il fiato corto e il terrore di non rispettare le scadenze. Mi rapportavo ogni giorno con dirigenti impreparati e superficiali, che non si facevano trovare dopo che avevo viaggiato chilometri per incontrarli, o magari annullavano il bando su cui avevo speso giornate di lavoro per un vizio di forma. Il tutto per 800 euro al mese. Un’esperienza che non auguro a nessuno: soprattutto in Sicilia, dove l’inefficienza della macchina amministrativa è tale da frustrare ogni buona volontà”.

Una serie di delusioni che per Carmelo ha effetti devastanti: gli ruba la gioia di vivere e l’entusiasmo, arrivando a rovinare i rapporti con gli amici e persino una relazione sentimentale durata anni. “Ogni giorno ero più cupo. Non mi fidavo più di nessuno, mi ero abituato all’idea che gli altri fossero lì per sfruttare i miei sacrifici. Così alla sera scaricavo la frustrazione sulla mia ex fidanzata, con cui convivevo. Non le rispondevo ai messaggi, non tornavo mai a casa in tempo per cenare insieme a lei. Ero arrivato a un punto in cui non vedevo più la luce in fondo al tunnel, ero una persona del tutto diversa da quella di cui si era innamorata. E così ho distrutto 11 anni di relazione, perdendo la persona con cui avevo costruito la mia vita”. Fino alla richiesta di lavorare gratis, la molla decisiva che lo spinge a emigrare. “All’inizio non è stato facile”, confessa. “Ho dovuto abituarmi a una certa spocchia dei colleghi inglesi, che ti guardano dall’alto in basso, convinti che gli italiani siano buoni solo a cucinare. Il fatto di essere arrivato in piena Brexit, poi, non ha aiutato. Ma ho fatto presto a liberarmi dal pregiudizio: la mia arma in più è stata l’abitudine al sacrificio, che mi ha portato ad accettare gli straordinari e i turni più scomodi, pur di non dire di no all’azienda. Gli inglesi sono abituati meglio, e quindi hanno sempre un po’ di puzza sotto il naso quando si tratta di andare oltre il compitino. Questo è il grande vantaggio di noi italiani”.

Ero arrivato a un punto in cui non vedevo più la luce in fondo al tunnel

Da luglio, Carmelo è stato nominato dalla sua azienda ambasciatore per l’Italia. Significa che, a intervalli regolari, incontra giovani veterinari italiani, magari precari e sottopagati come era lui fino a poco fa, e propone loro di percorrere la sua strada: emigrare in Inghilterra e lavorare per la sua azienda. “In pochi mesi ne ho già reclutati una trentina – racconta – e alcuni lavorano con me, nel mio team. Quando il sistema intorno a te funziona, puoi dare il massimo di cui sei capace, chi ti osserva può notare le tue capacità e premiarti, e tutto l’ambiente di lavoro ne trae beneficio”. E qui Carmelo tira fuori l’altra parola inglese di cui si è innamorato: “È work, che significa lavoro, certo, ma è anche un verbo, indica qualcosa che funziona. Posso dire che qui, in Inghilterra, I’m working. In tutti i sensi”.

Articolo Precedente

Erc, gli italiani secondi per le borse di ricerca. Ma 2 su 3 lavorano all’estero

next
Articolo Successivo

“Berlino lontana dall’individualismo italiano. E qui fare arte è un lavoro, non un hobby per ricchi”

next