La sua morte, e i dettagli della violenza subita, sconvolsero l’Argentina e tutta l’America Latina, dando il via al primo sciopero generale delle donne in Argentina e ad una serie di manifestazioni che avviarono il movimento #NiUnaMenos (Non una di meno). Ma a due anni dal crimine, i giovani accusati di aver drogato, stuprato, impalato e assassinato la sedicenne Lucia Perez sono stati assolti dal tribunale di Mar del Plata dal delitto di omicidio e violenza: due di loro sono stati condannati a 8 anni per la vendita di droga ad una minorenne, mentre il terzo è stato assolto dall’accusa di occultamento di cadavere. Sconvolta la famiglia della ragazza. “Loro non l’hanno stuprata, non l’hanno uccisa, non le hanno dato niente. E la morte di mia figlia cos’è, un regalo?”, ha detto la madre Marta Montero. Protesta il movimento femminista Ni Una menos che ha annunciato una mobilitazione per il 5 dicembre: “Lucia è stata uccisa due volte. La prima volta dagli esecutori diretti, la seconda da chi li ha assolti negando che due adulti che somministrarono cocaina per sottomettere una adolescente siano responsabili di abuso e femminicidio”. Critico anche l’Istituto di studi comparati in scienze penali e sociali (Inecip), secondo cui la sentenza mostra “un’indifferenza totale alle esigenze che il diritto internazionale dei diritti umani pone da decenni nell’inserire la prospettiva di genere nei giudizi per crimini sessuali. L’imponente quantità di pregiudizi mostrati durante il processo, e ratificati dalla sentenza, rendono questa decisione un’imposizione arbitraria e manifestano una cultura della violenza. In questo modo si mette sotto processo la vittima”.

Secondo i giudici argentini, i periti non sono riusciti a dimostrare che la ragazza è stata violentata e assassinata da Matías Farías (25 anni) e Juan Pablo Offidani (43), per cui era stato chiesto l’ergastolo. La morte di Lucia Perez non sarebbe stata dunque un femminicidio, né sarebbero stati compiuti abusi sessuali, ma ci sarebbe stata una relazione consensuale con il più giovane, che le aveva venduto anche cocaina. E anche se durante le indagini il pubblico ministero, Maria Isabel Sanchez, aveva detto che la morte era stata causata dalle torture subite, per i magistrati sarebbe invece dipesa dall’overdose di droga. Per questo motivo è stato ordinato di mettere sotto indagine la condotta della procuratrice Sanchez, che a poche ore dalla morte della ragazza, aveva convocato una conferenza stampa in cui aveva rivelato i particolari brutali delle torture e violenze subite, tra cui l’essere infilzata e impalata analmente, che avevano innescato un’ondata di indignazione e commozione in tutto il continente latinoamericano. Secondo i giudici Pablo Viñas, Facundo Gómez Urso e Aldo Carnevale, la pm con la sua condotta ha condizionato l’opinione pubblica, parlando di un ‘impalamento’ che non ci sarebbe mai stato. Non solo. Hanno basato la loro decisione sulla vita privata della giovane, i messaggi in chat che si era scambiata con le sue amiche e con il più giovane degli imputati nelle ore precedenti il delitto, l’autopsia, e il comportamento di Farías durante la relazione con Lucia e dopo la sua morte.

Sanchez, nella sua ricostruzione dei fatti, aveva detto che i due uomini erano passati a prendere la ragazza la mattina dell’8 ottobre 2016, portandola a casa di uno di loro per abusare sessualmente di lei, approfittando della sua condizione di tossicodipendenza. La violenza e l’abuso di sostanze portarono alla morte di Lucia, che Offidani, insieme al suo complice, portò poi in auto in ospedale, dove inutilmente i medici cercarono di rianimarla. Per i magistrati nulla di tutto questo è vero, ma “questa storia orribile sarebbe il parto dell’immaginazione della Sanchez”, e hanno finito per accogliere la tesi della difesa secondo cui la relazione sessuale era stata consensuale. Sulla base delle chat con le amiche, i giudici hanno detto che Lucia “non era una persona che poteva essere facilmente costretta ad avere relazioni sessuali non consensuali”, e che “sceglieva volontariamente gli uomini con cui stare”, e che dal suo vissuto si può scartare completamente la possibilità che fosse stata “sottomessa senza la sua volontà”, che non mostrava la sua età e aveva detto di aver avuto relazioni con uomini anche di 29 anni. “Qui non c’è stata violenza fisica, né psicologica, subordinazione, umiliazione né cosificazione”, si legge nella sentenza.

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