“Il Veneto è la prima Regione a fare questo progetto. Va bene che i giovani se ne vadano dall’Italia, ma devono trovare l’opportunità per rientrare”. Elena Donazzan, assessore regionale all’Istruzione, formazione e lavoro, presenta così la “borsa di rientro” rivolta a 55 ricercatori fuggiti all’estero. Investimento complessivo: 3,5 milioni di euro, messi a disposizione per progetti di innovazione sociale. Un’iniziativa per arginare l’emorragia di chi sceglie di andarsene: secondo i dati elaborati dal centro studi Idos (organizzazione indipendente sponsorizzata tra gli altri da Unar, Caritas e Chiesa Valdese) nel 2017 se ne sono andati dall’Italia circa 285 mila cittadini, tra questi molti neo laureati e ricercatori. Il coordinamento dei ricercatori precari uniti del Cnr, che da anni sostiene una battaglia affinché si investa di più in Italia per evitare la fuga di cervelli, definisce però il bando Inn Veneto. Cervelli che rientrano per il Veneto del futuro “una goccia nell’oceano”.

L’ambizione è quella di far rientrare le alte professionalità (lavoratori o imprenditori) che dopo un periodo di permanenza all’estero vogliono lavorare sul territorio in progetti di innovazione sociale e culturale. “Questo bando è una goccia nell’oceano – spiega Daniela Gaglio del coordinamento ricercatori precari uniti -. Si investe per far rientrare gente che è fuori mentre su chi è in Italia non si fa nulla. Siamo al paradosso: ne rientrano 55 e quanti ne partono? È un investimento già in perdita. La ricerca inoltre deve rimanere libera e non subire ingerenze politiche, che siano pubbliche o private. Non dobbiamo puntare alla regionalizzazione della ricerca ma ad un piano nazionale”.

Daniela ha 41 anni è ricercatore del Cnr a Milano, presso l’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare. È associata ad un centro che fa da unione tra la Bicoccca e il Cnr e nel suo laboratorio coordina un gruppo di sei persone. Ha fatto la sua esperienza all’estero a Boston, nel 2009, ed è rientrata per mettere a disposizione dell’Italia proprio le conoscenze acquisite contro il cancro. Ma è rimasta precaria. “E lo sarò almeno fino al 27 dicembre – aggiunge – quando circa 1200 su 2800 precari del Cnr firmeranno un contratto a tempo indeterminato. Siamo solo una piccola parte. Al Cnr i precari sono il 40% dei lavoratori. Capisce qual è il problema? Oggi in Italia non si investe su di noi”.

Nemmeno Katia Buonasera, 42 anni, precaria all’Istituto di cristallografia del Cnr area di Montelibretti (Roma), sorride alla proposta veneta. “Beati loro, meglio quello che niente. Ma non è un progetto che permetterà una svolta. Sono tantissime le persone che ogni anno lasciano l’Italia perché fuori lavorare è più facile. E chi resta condivide un problema di fondo: la precarietà insita nel sistema. Dopo la laurea ti specializzi con master e altri titoli con la speranza della stabilità, e invece vai avanti con piccoli contratti. Qui non si investe in ricerca. Sono stata per sette mesi in Austria dove ho avuto modo di vedere che investono molti più soldi che nel nostro Paese”.

Chi ci proverà in Veneto, intanto, lo potrà fare presentando una delle seguenti tipologie di progetto: Brain exchange per la crescita del territorio, con investimenti in ricerca e sviluppo attraverso il ricorso a figure altamente qualificate che hanno acquisito competenze all’estero; idee per il Veneto, che prevede processi di contaminazione da parte di start-up innovative che vogliono avere un impatto positivo sulla società o eccellenze arti e mestieri, ovvero progetti innovativi a sostegno dello sviluppo creativo ed artistico del Veneto. “Le proposte devono avere un valore complessivo tra i 150mila e i 250mila euro. Abbiamo voluto premiare le startup che all’estero hanno funzionato e fare tutoring qui. Con questo bando c’è un’opportunità per chi rientra: non dovranno tra l’altro essere prioritariamente veneti i partecipanti al bando. Semmai avremo un occhio di riguardo di fronte ad un surplus di domande per chi ha frequentato le nostre università”.

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