Ancora non si è insediato ufficialmente, e già i rapporti con Cuba si sono fatti incandescenti. Il ministero della Salute cubana ha infatti annunciato che ritirerà i suoi oltre 8mila medici che lavorano in Brasile, mettendo fine al programma ‘Mas Medicos‘ (Più medici), avviato nel 2013 dall’ex presidente Dilma Rousseff. La causa sarebbero le parole “minacciose e sprezzanti” pronunciate dal neoeletto presidente, Jair Bolsonaro, che si insedierà ufficialmente il 1 gennaio.

Il leader di ultradestra brasiliano ha infatti detto che le condizioni del progetto vanno ridefinite. Potrà continuare, ha scritto su Twitter, “a patto che i dottori cubani si sottopongano ad una prova di idoneità, che ricevano lo stipendio completo (attualmente percepiscono il 25% del totale, mentre il resto se lo prende lo Stato cubano), e che possano portare con sé la propria famiglia”. Una decisione, quella di abbandonare il programma, che “è stata presa unilateralmente da Cuba”, ha precisato Bolsonaro, che ha anche offerto asilo politico ai medici cubano che decideranno di rimanere nel Paese. Già durante la campagna elettorale Bolsonaro si era mostrato contrario al programma, mettendo in dubbio la preparazione dei medici cubani e criticando la loro situazione familiare, dopo essersi imbattuto nel caso di una dottoressa cubana in Brasile che aveva dovuto lasciare i suoi tre figli nell’isola. “E’ solo una tortura per una madre – aveva detto – Possiamo mantenere relazioni diplomatiche con un Paese che tratta i suoi abitanti in questa maniera?”.

Dopo la sua vittoria alle elezioni ha un po’ ammorbidito i toni, acconsentendo a far continuare il programma a patto di modificare alcuni punti, tra cui il riconoscimento del titolo di studio. Attualmente infatti tutti gli stranieri che partecipano a questo programma federale sono autorizzati ad esercitare la professione in Brasile, pur senza aver fatto un esame di convalida. Condizioni inammissibili per il governo cubano, come ha precisato il ministero della Salute in un comunicato: “Le modifiche annunciate impongono condizioni inaccettabili, che non rispettano le garanzie accordate dall’inizio del programma e rendono impossibile mantenere la presenza dei professionisti cubani nel programma”. Circa 6mila medici dovrebbero rientrare nell’isola già prima di Natale.

Dall’agosto 2013 circa 18mila medici stranieri sono arrivati a lavorare in 4.058 municipi Brasiliani con il programma “Più medici”, offrendo cure mediche di base nelle aree più marginali e remote del paese. Di questi sono 8.400 i dottori cubani presenti in 2885 città, che hanno occupato posti non coperti da medici brasiliani o di altre nazionalità. Oltre 1.500 municipi – la maggior parte dei quali con meno di 20.000 abitanti – hanno solo medici cubani. Il loro ritiro metterà quindi in difficoltà le zone più vulnerabili del Paese, in particolare il nord e la regione semiarida del nord-est, le favelas di Rio de Janeiro e San Paolo o le popolazioni indigene dell’Amazzonia. Il Fronte nazionale dei sindaci brasiliani ha già evidenziato come circa l’80% dei municipi del paese dipenda esclusivamente dal programma per le cure mediche e che il 90% della popolazione indigena è trattato da medici cubani.

L’esportazione di servizi medici all’estero è una delle principali fonti di reddito per Cuba, dove la formazione universitaria è completamente gratuita e ogni anno migliaia di medici si laureano per esercitare dentro e fuori del paese. In cambio il governo cubano si prende la maggior del salario dei 55.000 che lavorano in 67 paesi stranieri. Una ‘commissione’ che nel caso del Brasile è del 75% sugli oltre 3mila dollari di stipendio. Per giustificarsi, Cuba ha spiegato che ai medici mandati in Brasile gli viene conservato il posto di lavoro e salario pieno nell’isola, che è di circa 40-50 dollari al mese (alto rispetto ad altri dipendenti statali, anche se insufficiente a far fronte a tutte le spese). Si teme che la fine di questo programma assesti un duro colpo alla fragile economia cubana.

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