Il consiglio di Tim mette alla porta l’amministratore delegato Amos Genish, diffida il socio Vivendi dal diffondere informazioni false e indirettamente riapre il dossier di separazione dell’infrastruttura di rete dai servizi di telefonia. Entra così nel vivo lo spezzatino dell’ex Telecom che prevede anche la cessione delle torri di Persidera e dell’azienda dei cavi sottomarini Sparkle. Tutto questo proprio mentre il governo sta tentando di far passare nuove regole per favorire le aggregazioni nel settore delle telecomunicazioni: il vicepremier Luigi Di Maio ha infatti deciso di accelerare sullo sviluppo della fibra e di spingere per la creazione di una nuova società delle reti in cui confluisca l’infrastruttura di Tim e il network della rivale Open Fiber, controllata da Enel e dalla Cassa Depositi e Prestiti.

Il progetto non è nuovo, ma è stato finora osteggiato dal mondo bancario e dall’azionista francese di Tim, Vivendi, che però ha perso il controllo dell’azienda nell’assemblea dello scorso 4 maggio per mano del fondo Elliott con il contributo sostanziale della Cdp. Nonostante i cambiamenti negli equilibri del consiglio, l’amministratore delegato voluto da Vivendi ha portato avanti il suo piano industriale dicendosi disponibile a cedere la rete Tim. A patto però di mantenere il controllo dell’azienda che sarebbe nata successivamente alla fusione con Open Fiber. Il motivo? Nella visione di Genish, per Tim il network è strategico perché è a garanzia dell’ingente debito (25 miliardi netti) contratto negli anni dal gruppo. Di conseguenza, l’ex monopolista deve mantenerne il controllo anche in caso di aggregazione con un’altra azienda di infrastrutture. Ma l’idea di un nuovo monopolio nella fibra non ha mai convinto il governo che, già ai tempi di Matteo Renzi, puntava invece alla nascita di una società delle reti a maggioranza di capitale pubblico. Di qui l’impasse nello sviluppo di una infrastruttura in fibra unica per il Paese.

A questo punto, però, con il defenestramento di Genish, le cose in Tim potrebbero cambiare rapidamente. Molto si capirà dal nome del manager che domenica prossima sarà chiamato a sostituire l’ad uscente. Secondo indiscrezioni, in pole position ci sarebbe l’ex braccio destro di Sergio Marchionne, Alfredo Altavilla. Ma in corsa ci sarebbe anche l’attuale commissario dell’Alitalia, Luigi Gubitosi, manager conosciuto e apprezzato nel mondo bancario. In entrambi i casi si tratterebbe comunque di professionisti abituati a trattare piani di riorganizzazione con gli istituti di credito che sanno bene quanto complicato sia il dossier Tim: l’azienda non è più quella di una volta come testimonia il fatto che lo scorso 8 novembre è stata costretta ad effettuare due miliardi di svalutazioni, archiviando i conti del periodo che va da gennaio a settembre 2018 con 800 milioni di perdite. Nonostante i nuovi equilibri del cda, “l’amministratore delegato ha svolto il suo lavoro in continuità rispetto al passato, perseguendo, senza raggiungerli, gli obiettivi indicati nel piano industriale da lui stesso predisposto in coordinamento con il socio Vivendi,” ha spiegato una nota di Tim che ha diffidato Vivendi dal diffondere informazioni fuorivanti e false sul conto dell’ex monopolista. “La necessità di procedere a svalutazioni non è quindi dovuta a una disorganizzazione della società o al fallimento della nuova governance, come insinuato da Vivendi, ma all’implementazione da parte di Amos Genish (designato dal socio Vivendi) di scelte industriali riconducibili allo stesso socio Vivendi”, ha aggiunto il consiglio di Tim che ha precisato di aver sfidiciato Genish perchè il suo piano non ha centrato i target.

Tutto da rifare quindi per l’ex monopolista che avrebbe dovuto presentare le nuove linee strategiche nel consiglio del 6 dicembre a Torino. Intanto a Roma, in Cassa Depositi e Prestiti si lavora per supportare il progetto della rete unica nell’ambito del nuovo piano industriale che sarà svelato agli inizi di dicembre. Contemporaneamente, il Movimento 5 Stelle si è fatto promotore di un emendamento alla legge di Bilancio che introduce un sistema di tariffe telefoniche commisurate agli investimenti. Il meccanismo, che richiama alla mente i contratti con i concessionari autostradali, garantirebbe alla futura società delle reti i flussi di cassa necessari a portare avanti i progetti di investimento. E consentirebbe così finalmente un’accelerazione sul fronte dello sviluppo della fibra nel Paese. Sullo sfondo restano però due nodi da sciogliere: il primo è la quota di debito che traslerà da Tim alla nuova società delle reti assieme all’infrastruttura, il secondo è il ricollocamento dei dipendenti. Questioni con un impatto politico e sociale decisamente rilevante.

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