Silvio Berlusconi colleziona un’altra archiviazione. Il giudice per le indagini preliminari di Milano, Maria Vicidomini, ha archiviato le accuse di frode fiscale e appropriazione indebita che erano state contestate all’ex premier in uno stralcio dell’inchiesta su Publitalia, concessionaria di pubblicità del gruppo Mediaset.

A chiedere di chiudere l’indagine senza contestare accuse a Berlusconi erano stati i pm Giordano Baggio e Mauro Clerici. Si tratta della stessa inchiesta in cui Fulvio Pravadelli, ex amministratore delegato ed ex vicepresidente di Publitalia, ha già patteggiato un anno. L’archiviazione riguarda anche Giuliano Adreani, presidente della concessionaria fondata da Marcello Dell’UtriPublitalia, invece, ha patteggiato il pagamento di 18 milioni di euro con l’Agenzia delle entrate.

L’indagine era stata raccontata da un’inchiesta di Fq MillenniuM, il mensile del Fatto Quotidiano diretto da Peter Gomez che aveva pubblicato in escusiva le intercettazioni Alberto Maria Salvatore Bianchi, amico di Berlusconi e Dell’Utri sin dai tempi in cui tutti e tre frequentavano l’università a Milano. 

“Sai fino a quando mi pagheranno? Fin quando c’è vivo Dell’Utri“, diceva Bianchi intercettato, che da Publitalia ha ricevuto 27 milioni di euro nell’arco di 14 anni, fino al 2013. Soldi giustificati e fatturati come provvigioni per la vendita di spazi pubblicitari per le reti del Biscione. Grazie alle intercettazioni e alle testimonianze dirette dei funzionari della concessionaria, però, l’indagine ha documentato che Bianchi non ha mai procacciato neppure un singolo cliente. Da qui è partita l’inchiesta sulla reale natura di quei pagamenti.

I pm hanno chiesto l’archiviazione per Berlusconi perché non è emersa la prova che fosse lui il demiurgo dei pagamenti. Restano però le intercettazioni di Bianchi, in cui lui stesso coetaneo del leader di Forza Italia sostiene di avere ricevuto bonifici a sei zeri in cambio del suo silenzio sui rapporti tra Dell’Utri e la mafia. Un concetto ribadito più volte .”Sa che Bianchi può diventare un grande problema se non lo paga. Io non ho paura, deve avere più paura lui di me che io di lui”, inveisce parlando di sé in terza persona, quando dopo l’azienda sospende le elargizioni dopo l’apertura dell’inchiesta. “Loro hanno paura a pagarmi, dovrebbero avere più paura a non pagarmi. La mia disgrazia è che Dell’Utri sta morendo”, dice Bianchi ancora nella conversazione del 24 febbraio 2015. Quando l’ex senatore è già detenuto nel carcere di Parma (poi sarà trasferito a Rebibbia) dopo essere stato condannato a sette anni per concorso esterno a Cosa nostra. Una sentenza diventata definitiva nel maggio del 2014, nove mesi prima che Bianchi pronunciasse quelle parole piene di rancore. E molto simili a un ricatto, seppur soltanto ventilato.

Ma perché le “canzoni” che l’amico di Berlusconi potrebbe cantare dovrebbero essere una minaccia? Perché dovrebbero impensierire qualcuno, se già da tempo Dell’Utri è stato condannato in via definitiva e ha cominciato a scontare la sua pena? Bianchi sa per caso qualcosa di inedito sui rapporti tra l’ex senatore e Cosa nostra? Qualcosa che non è contenuto nella sentenza confermata dalla Cassazione? E poi chi è quel “lui“, quel “lui con la mafia” al quale si riferisce nell’intercettazione? È sempre Dell’Utri? O è forse  lo stesso Berlusconi? Domande senza risposta. Anzi: domande alle quali può rispondere solo lo stesso Bianchi.

Fq MillenniuM è andato a intervistare Bianchi nella sua modesta abitazione milanese, dove vive nonostante i milioni incassati in pochi anni.  “Ho fatto speculazioni sbagliate”, si è giusticato il diretto interessato, prima di cacciare i giornalisti da casa sua, alla richiesta di spiegazioni su quelle frasi intercettate. Sostenendo, tra l’altro, che durante gli interrogatori i pm non gli avevano mai contestato quelle frasi su Dell’Utri e la mafia.

 

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