Due buone, anzi ottime notizie per lo stato di salute della laicità in Europa e nel mondo islamico arrivano una dalla sorprendente Irlanda e una dal Pakistan.

Nell’isola europea, per decenni vissuta come la Cenerentola dell’Europa, ultimamente si sono fatti enormi balzi in avanti su temi fondamentali per la convivenza civile e i diritti umani. Dopo la legalizzazione, nel 2015, del matrimonio tra persone dello stesso sesso e il via libera alla legalizzazione dell’interruzione di gravidanza nello scorso maggio, è arrivata giorni fa l’abolizione del reato di blasfemia, deciso nel recente referendum che ha visto oltre il 64% dei voti a favore. A chi pensa che depenalizzare un reato legato alla “bestemmia” sia un fatto marginale e poco incisivo vale la pena di ricordare che nel mondo la blasfemia viene ancora perseguita anche con la morte.

Come fa notare Adele Orioli, portavoce dell’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti (Uaar), il Rapporto sulla libertà di pensiero nel mondo diffuso nel 2018 parla chiaro: in 12 paesi al mondo (Afghanistan, Iran, Malesia, Maldive, Mauritania, Nigeria, Qatar, Arabia Saudita, Somalia, Sudan, Emirati Arabi Uniti, Yemen) l’apostasia può essere punita con la condanna a morte. In Afghanistan, Iran, Nigeria, Arabia Saudita e Somalia, cui va aggiunto il Pakistan, si prevede sempre la pena di morte per il reato di blasfemia. E non si tratta di bestemmiare.

Il comportamento blasfemo, infatti, secondo i fondamentalisti islamici, è anche e soprattutto l’esibizione della libertà di pensiero. La strage alla redazione di Charlie Hebdo nel 2015 ce lo ricorda, così come l’esecuzione nel 2004 del regista olandese Theo van Gogh, assassinato da Mohammed Bouyeri, estremista islamico esponente del gruppo Hofstad, come ritorsione contro il suo film Submission.

L’altra bella notizia riguarda la cancellazione della condanna a morte di Asia Bibi in Pakistan, grazie – come sottolinea Marieme Helie Lucas del Wlums (Women living under muslims laws) – “ai prolungati sforzi sostenuti da parte delle attiviste laiche in Pakistan; Asia Bibi dovrebbe essere liberata immediatamente, ma la destra fondamentalista musulmana si sta mobilitando. Temiamo per la sua sicurezza e quella della sua famiglia, per non parlare della sicurezza dei giudici che, con enorme coraggio, hanno commutato la sentenza”.

A queste due buone notizie per l’avanzamento della laicità nel mondo fa da contrappunto negativo e preoccupante la decisione degli esperti Onu a proposito del divieto di indossare il niqab (ovvero un quasi burka che ricopre il corpo e il volto lasciando solo una fessura all’altezza degli occhi). Secondo gli esperti, la legge francese che vieta l’uso del velo integrale in pubblico interferisce in modo sproporzionato con il diritto di manifestare liberamente la propria religione. Peccato però, come sottolinea Giuliana Sgrena, autrice di Dio odia le donne e profonda conoscitrice del mondo islamico, “prima di qualsiasi considerazione sulla libertà delle donne viene da chiedersi di quali esperti si tratta, visto che il Corano non prevede l’uso del velo per le donne, figuriamoci il niqab imposto solo dai fondamentalisti sauditi, dai taleban afghani e dallo Stato islamico. Invece di difendere le donne iraniane che lottano per liberarsi dal velo si legittima l’isolamento delle donne (attraverso il velo integrale) anche in Occidente”.

Se per fortuna l’esternazione dei 18 esperti delle Nazioni unite non avrà impatto normativo sulla legge vigente, aver affermato che la Francia ha violato i diritti umani di due donne per aver fatto loro un verbale perché indossavano il niqab crea un preoccupante precedente, perché potenzialmente può rafforzare la legittimazione della legge islamica propugnata dai fondamentalisti sul suolo europeo. La Corte europea per i diritti umani si è pronunciata, in passato, in senso contrario agli esperti Onu: per ben due volte ha espresso un parere favorevole alla legge voluta da Sarkozy nel 2010 e poi ratificata dai governi successivi.

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