Antonello Caporale è stato prosciolto dal gup di Salerno Alfonso Scermino: il giornalista del Fatto Quotidiano non ha diffamato il governatore dem della Campania Vincenzo De Luca quando lo definì “impresentabile” e “incandidabile”, nonché “non degno di stare in un partito come il suo (il Pd, ndr)”. Parole pronunciate rivolgendosi alla parlamentare Pd Alessia Morani durante una puntata di maggio 2016 de L’aria che tira su La7, sollecitata anche a verificare “che schifezza è il partito a Napoli e in Campania”.

Il Gup Scermino ha prosciolto Caporale in udienza preliminare, cestinando la querela di De Luca – che si era costituito parte civile – e scongiurando l’avvio del processo. A detta del gup, quel termine “impresentabile” rivolto a De Luca, Caporale – difeso dagli avvocati Andrea Fiore e Alessia Liistro – non se l’era inventato gratuitamente: “Lungi dall’essere un giudizio offensivo – scrive Scermino nelle tre pagine di motivazioni della sentenza di proscioglimento – riportava testualmente quanto rappresentato dalla commissione parlamentare Antimafia presieduta dall’onorevole Rosy Bindi nella comunicazione di maggio 2015 relativa alle elezioni regionali campane, la quale, fra i vari nomi degli “impresentabili”, indicava anche quello del candidato Vincenzo De Luca, accusato in quel periodo di abuso d’ufficio (procedimento penale per il quale la Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, ha poi pronunciato sentenza di assoluzione per tutti gli imputati perché il fatto non sussisteva)”.

Insomma, Caporale si era limitato a ripetere una notizia vera. E lo ha fatto nel contesto di un acceso, ma corretto, scontro dialettico con la Morani che accusava il Fatto Quotidiano di avere per mesi “coperto letteralmente di letame il governatore De Luca”. Quindi secondo il giudice le parole di Caporale devono essere analizzate con la lente di una sentenza della Cassazione del novembre 2016: “In tema di diffamazione, nella valutazione del requisito della continenza, necessario ai fini dell’esercizio del legittimo diritto di critica, si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur se aspri e forti, non siano gravemente infamanti e gratuiti, ma siano invece comunque pertinenti al tema in discussione e legati ad un ‘botta e risposta’ giornalistico che tollera limiti più ampi alla tutela della reputazione”.

De Luca “impresentabile” e “incandidabile” (per la Legge Severino, De Luca doveva essere sospeso e questo non avvenne solo grazie a una sentenza del Tar che sollevò la questione alla Consulta, ndr) erano fatti risaputi, eppure il pm aveva chiesto il rinvio a giudizio. Circostanza sulla quale Caporale invita tutti a una riflessione: “Come è stato possibile che un personaggio pubblico si sia sentito diffamato da una definizione formalizzata e resa pubblica da una commissione d’inchiesta parlamentare? Come è stato possibile che la querela non abbia preso subito la via dell’archiviazione per manifesta infondatezza? Come è stato possibile, nel prosieguo del giudizio, che essa non sia stata ritenuta lite temeraria? Adesso chi dovrebbe pagare le spese legali? Perciò – secondo il giornalista de Il Fatto Quotidiano –  è urgente e indifferibile, come chiede la Federazione nazionale della stampa, la riforma dell’esercizio dell’azione per diffamazione perché essa non si trasformi in una pressione indebita o peggio, specialmente nei confronti dei colleghi più deboli e fragili economicamente, delle aree più esposte a questo rischio (dove il diritto di cronaca più frequentemente viene compresso) in una vera e propria forma surrettizia di intimidazione”.

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