Il governo gialloverde prende tempo su Alitalia. Lo fa con unofferta vincolante che arriva in extremis nel giorno della scadenza per la chiusura della procedura di vendita, ma che non assicura la fine delle turbolenze per l’ex compagnia di bandiera: i potenziali partner Eni e Leonardo, oltre che Lufthansa, si sono infatti al momento tutti sfilati. E “la Cassa depositi e prestiti non deve mettere un euro per nessuna ragione”, come ha spiegato il presidente di Acri, Giuseppe Guzzetti, esponente delle Fondazioni bancarie, socie di Cdp (15,9%) accanto al Tesoro (83%). Nonostante l’offerta delle Ferrovie, all’orizzonte non si vedono quindi soluzioni né facili né indolori. Inoltre dietro l’angolo ci sono anche altre due scadenze importanti: il 15 dicembre, termine ultimo per la restituzione del prestito ponte da 900 milioni (più 100 di interessi), già da tempo nel mirino di Bruxelles, e il 23 marzo, data entro cui rinnovare gli ammortizzatori sociali per 1.570 dipendenti (su un totale di 12mila).

Dal canto suo, il governo di Giuseppe Conte ha fatto la prima mossa in queste delicata partita con l’ingresso in scena delle Ferrovie dello Stato il cui consiglio presieduto da Gianluigi Vittorio Castelli “ha deliberato di presentare l’offerta per l’acquisto dei rami d’azienda delle società Alitalia-Società Aerea Italiana e Alitalia Cityliner”. I dettagli del progetto non ci sono, ma, secondo indiscrezioni, il gruppo di Castelli non dovrebbe sborsare più di un centinaio di milioni. E cioè una cifra che copre giusto gli interessi del prestito ponte. Del resto, le cose non potrebbero stare diversamente visto che non esiste un piano vero e proprio sulle possibili sinergie fra le il gruppo delle Frecce e l’ex compagnia di bandiera. Non c’è alcun progetto d’integrazione sul tavolo dei commissari che, come da mandato, dovrebbero limitarsi a completare la procedura passando la patata bollente nelle mani delle Ferrovie. L’unica bozza di riorganizzazione finanziaria pubblica in circolazione risale all’aprile del 2017 e porta la firma del sindaco Pd di Fiumicino, Esterino Montino, che aveva chiesto all’esecutivo Gentiloni di valutare la nascita di una cordata con a capo Ferrovie dello Stato accanto a Poste, Eni e Leonardo.

L’idea, tutta da concretizzare, non piace però particolarmente al ministro del Tesoro, Giovanni Tria, molto cauto nel delineare un intervento pubblico che rischia di finire nel mirino di Bruxelles. “Stiamo parlando di una proposta vincolante subordinata a determinate condizioni – spiega il sindacato autonomo Cub in una nota – Come dire che intanto si pubblicano le partecipazioni di nozze ma che il matrimonio si celebrerà solo se un terzo o anche più soggetti faranno parte del menage tra le due più importanti società di trasporto nazionale: un triangolo (…o un poliedro!) che non si era considerato e che va tutto ‘equilibrato’. Non che il triangolo o addirittura la promiscuità tra capitale pubblico o privato sia una novità, ma mette in seria discussione l’ipotesi della nazionalizzazione di Alitalia, come annunciata dalle forze politiche della maggioranza e unica soluzione realmente percorribile e la sola che allo stato attuale possa garantire alla Compagnia di Bandiera una ristrutturazione ed un vero rilancio”. Senza contare che, come spiega La Repubblica di lunedì 29 ottobre, il costo del salvataggio rischia di incidere sulle promesse di investimento (6 miliardi) per i nuovi treni sulle tratte frequentate dai pendolari.

Difficile prevedere cosa accadrà a questo punto, ma di certo, qualsiasi strada si deciderà di percorrere, per Alitalia sarà necessaria una pesante riorganizzazione capace di ridare appeal agli occhi dei potenziali acquirenti stranieri. E intanto a pagare saranno i contribuenti, già messi a dura prova da un decennio di promesse di risanamento del governo Berlusconi e Gentiloni poi.

Il quadro al momento non è affatto chiaro. Forse qualche dettaglio in più arriverà oggi dal Ministero per lo sviluppo economico che ha in programma un incontro con i sindacati. Intanto alla Cassa Depositi e Prestiti tutto tace: il braccio finanziario dello Stato ha le spalle larghe per sostenere un eventuale investimento nell’ex compagnia di bandiera, ma per statuto non può investire in aziende decotte. L’ipotesi sul tavolo del governo è che la Cdp possa intervenire per far fronte ai 2-3 miliardi necessari al rinnovo della flotta. Ma, anche in questo caso, l’intervento è tutto da costruire e non può passare senza l’appoggio delle Fondazioni. “Il nostro obiettivo è semplice: non vogliamo solo “salvare” Alitalia, ma rilanciarla, una volta per tutte, in un’ottica di lungo periodo – ha spiegato il vicepremier Luigi Di Maio nel corso del question time di mercoledì 24 ottobre -. Da questo punto di vista, è evidente che anche lo Stato dovrà fare la sua parte. (…) Ma è anche vero che Alitalia, perché l’operazione di rilancio sia effettiva e sostenibile nel medio-lungo termine, ha la necessità di uno o più partner industriali. E sono felice di dirvi che stiamo ricevendo molte manifestazioni d’interesse, da parte di primari operatori internazionali del trasporto aereo, che sono, ovviamente, in fase di valutazione”.

Intanto l’unica certezza è che la compagnia continua a perdere terreno. Si stima che Alitalia archivierà il 2018 con una perdita da circa 600 milioni. Dovrà restituire entro il 15 dicembre 900 milioni del prestito ponte cui si aggiungono cento milioni di interessi. Ma non c’è visibilità su quanto la compagnia debba ai fornitori e sugli altri debiti contratti. Inoltre, al momento, l’unico privato che è informalmente interessato è la società statunitense Delta, intenzionata a sviluppare una partnership transatlantica assieme ad AirFrance-Klm. In precedenza, ad aprile, anche Lufthansa si era detta pronta a fare un’offerta per Alitalia ma solo per una parte delle attività di volo con un piano che avrebbe comportato fra i 4 e i 6mila esuberi su un totale di 12mila dipendenti. Tuttavia, al momento di stringere, nessuno ha presentato un’offerta vincolante. Intanto però si è mossa anche la Procura di Civitavecchia che ha indagato per bancarotta l’ex presidente Luca Cordero di Montezemolo, oltre ai due manager Silvano Cassano e Mark Ball Cramer.

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