di Maurizio Donini

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”, recita la Costituzione Italiana all’articolo 11.

Diciamo che la rifugge ufficialmente, se la coinvolge alla luce del sole, ma si può fare per guadagnare crediti con grandi paesi (Berlusconi ai suoi tempi con gli Stati Uniti), magari facendo lucrosi affari. Perché l’Italia rigetta la guerra, ma di fronte agli affari ripone pizza e mandolino, toglie la mano dal cuore per metterla sul portafoglio e vende quasi 15 miliardi di euro di armi all’estero, Esattamente sono stati 14,6 nel 2016 i miliardi incassati dal bel paese per esportare morte, un aumento del 85,7% rispetto i 7,9 del 2015, non è dato sapere se anche i morti provocati siano aumentati in misura equivalente.

Siamo presenti in ben 20 paesi con 29 missioni in cui abbiamo speso 826 milioni di euro nel 2016, 58 più del 2015. Questo malgrado i soliti fastidiosi pacifisti si siano messi di traverso in questo lucroso mercato portando a bandire le mine anti-uomo (Convenzione di Ottawa) e le munizioni a grappolo (Convenzione di Oslo) con i trattati entrati in vigore nel 1999 e 2010. In teoria le armi per essere vendute devono sottostare a tutta una serie di restrizioni che dovrebbero garantire una serie di diritti su uso e riuso, in pratica il mondo è pieno di trafficanti, una volta uscite dal paese di costruzione verso un altro ufficialmente autorizzato all’acquisto, si apre la zona grigia delle triangolazioni, ed i risultati non sono difficili da vedere.

L’ultima sorpresa è venuta alla luce a seguito di un’inchiesta del NYT, portando alla luce che l’azienda sarda RWM, terza industria di armi del nostro paese, ha venduto, con tutte le autorizzazioni del caso, bombe Mk-80 da 250 kg. che hanno ucciso, con il sigillo dell’Arabia Saudita, circa 10.000 yemeniti. D’altronde per questi 10.000 morti abbiamo incassato la notevole cifra di 440 milioni di euro, armi che vanno a distruggere altre case in paesi lontani, come ebbero a dichiarare l’ex-premier Gentiloni e l’ex-ministra Pinotti, “nel pieno rispetto delle leggi nazionali ed internazionali”.

I governi Renzi e Gentiloni un risultato sicuramente l’hanno raggiunto, portare il nostro paese al nono posto nel mondo nella classifica degli esportatori di armi stilata dal SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute). Per l’esattezza l’Italia esporta il 2,5% delle armi di tutto il mondo, al primo posto ci sono gli Usa (34%), poi seguono Russia (22%), Francia (6,7%), Germania (5,8%), Cina (5,7%), Regno Unito (4,8%), Spagna (2,9%) e Israele (2,9%). Chiude la classifica l’Olanda (2,1%). La top 10 dei produttori di armi riguarda le cosiddette “major weapons”, vale a dire quelle pesanti (aerei, navi, sottomarini, carri armati e sistemi missilistici), e si riferisce al quadriennio 2013-2017.

I nostri maggiori clienti sono Emirati Arabi, Israele, Turchia, Algeria, Marocco, Taiwan, almeno per quello che è dato sapere, visto che sono ben 9 anni che l’Italia non invia informazioni all’Unroca, cioè al Registro delle Nazioni Unite sulle armi convenzionali. La metà del valore delle esportazioni del 2016 (7,3 miliardi di euro) arriva dalla fornitura al Kuwait di 28 aerei Eurofighter della Leonardo. Un golfo dove si fanno affari d’oro, come quelli che prevedono la vendita di sette navi di superficie di oltre 100 metri (di cui 4 corvette), una nave anfibia Lpd (Landing Platform Dock) e due pattugliatori Opv (Offshore Patrol Vessel) al Qatar, stato accusato spesso di armare i terroristi.

D’altronde, “si vis pacem, para bellum dicevano i latini, se vuoi la pace, prepara la guerra”.

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